Il cambiamento che serve nel ruolo della donna per incentivare le nascite

Abbiamo mai pensato a un neonato solo nella culletta di un nido di ospedale? A un reparto maternità fantasma, dove i vagìti sono un lontano ricordo? A un bambino che non trova altri compagni al parco con i quali giocare? Ad aule scolastiche completamente vuote in cui si aggirano maestre spaesate alla ricerca di un fracasso infantile che non c’è più? È la storia di Adamo, l’ultimo bambino italiano che nascerà nel 2050, secondo una previsione, provocatoria ma neanche tanto, della Plasmon, che ha avuto l’idea di porre il problema della denatalità in Italia con un cortometraggio scioccante: lo spettatore è proiettato fra trent’anni in un paese in cui la scelta di avere un figlio può essere talmente complicata da diventare unica.

Adamo è solo. E questo perché le nuove generazioni smetteranno di procreare attanagliate dalla paura del futuro. Una previsione apocalittica, certo, ma che trova conferma nel sondaggio condotto dall’Università di Padova con Community Research, che, tra pessimismo e incertezza, vede il 95 per cento dei giovani essere scarsamente fiducioso sulle prospettive. Ma come siamo arrivati a questo punto? “Nel nostro paese la questione demografica è stata a lungo sottovalutata a differenza di altri stati europei – spiega al Foglio Alessandro Rosina, studioso dei fenomeni demografici (Università Cattolica) – La persistente denatalità ha fatto sì che i bambini diventassero meno dei nonni e, quindi, siamo scivolati in una trappola demografica irreversibile. Del resto, se mancano politiche efficaci nei confronti delle famiglie, se mancano le misure strutturali per la maternità e la paternità, se mancano i servizi per l’infanzia e gli asili nido, il destino che rischia di compiersi in Italia è quello di Adamo”.

LEGGI ARTICOLO COMPLETO