| 14/10/2025 | |
| CORRIERE DELLA SERA - 14 Ottobre 2025 |
Nel dibattito odierno sulla scuola c’è un grande assente: una specie di convitato di pietra, che tutti – decisori politici e sindacati – conoscono benissimo, ma che si preferisce non evocare, perché fa paura: si chiama denatalità e in dieci anni ha fatto sparire dalle nostre scuole quasi un milione di alunni.
«Io preferisco usare la parola “degiovanimento” – spiega Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale alla Cattolica di Milano e Coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo –, un neologismo che illustra bene il rovesciamento della piramide demografica in atto nel nostro Paese. Se le scuole si svuotano è perché i giovani hanno smesso di essere una risorsa abbondante, come era stato dalla preistoria agli anni 50-60. La transizione demografica ci ha portato sotto il livello di equilibrio di due figli per coppia, ma ormai sono quarant’anni, dal 1984, che il tasso di fecondità è costantemente e persistentemente sotto 1,5. Non si tratta più, quindi, di una transizione ma di una vera e propria crisi demografica, che ha portato l’Italia a diventare il primo Paese al mondo in cui gli under 15 sono meno degli over 65».
Perché non facciamo più figli? E cosa si può fare per invertire la tendenza?
«Più che puntare su politiche di incentivazione diretta delle natalità, bisognerebbe cercare di aiutare i giovani a rendersi autonomi. Ci vogliono stipendi adeguati, affitti a prezzi sostenibili. Bisogna creare le condizioni per poter conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro. Altrimenti, sopraffatti come sono dalle preoccupazioni, i giovani continueranno a posticipare la possibilità di diventare genitori. E’ dal 2015 che ogni anno battiamo un nuovo record negativo delle nascite. Ormai il degiovanimento è talmente accentuato che nemmeno gli anziani e gli immigrati riescono a compensarlo. E infatti da dieci anni la popolazione del Paese è in declino».


