Inverno demografico, alla Liguria restano 3 anni per non perdere la speranza

Tre anni. È il tempo che rimane alla Liguria per invertire la crescita zero. «Se non si dovesse riuscire nei prossimi tre anni, poi si dovrà soltanto gestire la tendenza negativa e resterà la tendenza della denatalità». Alessandro Rosina, 55 anni, padovano, docente di Demografia alla Cattolica di Milano traccia un quadro complicato sul futuro demografico della Liguria. Come evitare o deviare questa tendenza? È ancora possibile? Rosina premette: «Fra le generazioni ci dev’essere osmosi, non una guerra. Perché se funziona il rapporto fra le generazioni, allora funziona tutto. Sennò si scatena il conflitto egoistico».

Guai a combattere solo per mantenere lo status quo. Il professore di Demografia suggerisce tre strategie. Spiegando: «Se non si agisce nell’immediato, anche se in futuro aumentasse la fecondità, mancherebbero i potenziali genitori». Dunque, perché la natalità non resti così bassa com’è ora, già ai minimi «le politiche familiari vanno rafforzate». A partire «da un investimento sulle politiche abitative, dalle quali possono partire i progetti di vita». Per abbassare la tarda età del primo figlio a 32 anni «quando le donne francesi sono già al secondo» occorre autonomia. Che parte dalla casa, senza dover più (con)vivere con i genitori. «È indispensabile una politica abitativa e di sostegno alle giovani coppie». Che passa poi dal «rafforzamento della forza lavoro femminile, facendo conciliare famiglia e lavoro alle donne. Con orari flessibili. Part time reversibili. Congedi di paternità, sennò il carico è soltanto sulle madri, mentre occorre una condivisione dei ruoli». Quanto invece agli asili nido, la strada da percorrere è impervia. «I nidi devono avere una retta bassa o nulla: aziendali o pubblici che siano – puntualizza Rosina – Chiaro che la qualità sia importante: sennò una madre non ce lo manda, il suo bambino. Occorrono maggiori competenze degli operatori, per quelle fasce d’età dei bambini. Il nido non può essere un parcheggio. I primi 1.000 giorni di vita sono fondamentali per il benessere futuro del bambino. È in questi primi mille giorni che si forma la persona».

È un po’ un libro dei sogni, professore… «Per nulla – replica Rosina -. È ciò che fa la differenza tra il declino irreversibile e territori che riusciranno a garantire la transizione, con adeguate risorse per anziani e con giovani che producano la ricchezza. Sennò, i giovani se ne andranno. E il territorio non sarà in grado di attrarne altri». Mica facile fermare la fuga e offrire prospettive: «Si devono valorizzare gli aspetti positivi dell’invecchiamento. Tra i 65 e gli 80 anni c’è ancora buona salute, tempo e disponibilità economica. Non dimentichiamo la silver economy, che può essere orientata sul territorio con consumi culturali e volontariato. Per non parlare delle competenze che possono essere messe a disposizione della famiglia e della società».

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