Iscrizioni, il Classico soffre di più: “Le seconde generazioni virano su corsi concreti”

Il calo demografico sta svuotando le scuole dal basso e l’anno scorso – dopo avere fatto perdere intere classi alle elementari e alle medie – si è fatto sentire per la prima volta alle superiori. “All’interno di questo quadro, con una riduzione consistente di giovani, si inseriscono le scelte delle famiglie. Alcuni percorsi risultano più penalizzati di altri: il liceo classico è quello che sta soffrendo di più”. Alessandro Rosina, professore di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani, analizza così l’andamento delle iscrizioni.

Perché il Classico oggi è in crisi?

“Nelle nuove generazioni calano le aspettative rispetto alla formazione scolastica. Chiedono modalità di insegnamento non tradizionali, possibilità applicative e un riscontro concreto di quello che apprendono, perché fanno più fatica a mantenere la concentrazione, ma anche perché sono di fronte a cambiamenti importanti, come la transizione verde, che chiedono di capire concretamente”.

Cosa comporta?

“Da un lato c’è la spinta verso i licei scientifici, perché sono un compromesso: non è la scuola tecnica nella quale devi scegliere subito il percorso professionale, né il classico in cui i contenuti sembrano troppo generalisti e non direttamente applicabili. C’è un travaso dal Classico allo Scientifico”.

Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi anni?

“Una crescita anche di Tecnici e Professionali, sempre più abbinati a forme di alta formazione dopo il diploma, i cosiddetti Its, Istituti tecnici superiori, più orientati al lavoro e con grandi possibilità di occupazione”.

Rispetto ad altre parti d’Europa sono però “snobbati“ al momento.

“Vero. In Europa centrale sono molto sviluppati, sono di qualità, non vengono percepiti come fossero di secondo piano e vengono scelti anche dalle ragazze, superando l’idea che non siano portate per certi tipi di percorsi più tecnici. Credo non sia un caso che il numero di Neet (giovani che non studiano né lavorano, ndr) sia più basso in quei Paesi rispetto al nostro. Si sta però investendo per renderli molto più appetibili anche qui. E questo aspetto si incontra anche con le trasformazioni della nostra società. Abbiamo pochi giovani, ma aumenta la percentuale di figli di stranieri e ci aspettiamo che continui a crescere, anche in risposta agli squilibri demografici”.

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