Natalità al palo, il demografo Rosina: “Un Paese povero di giovani, ecco le prospettive”

I dati Istat 2022 e quelli del primo semestre 2023 segnano un altro passo verso il vuoto demografico: a che punto siamo?

Le condizioni di benessere e sviluppo di un territorio dipendono in primo luogo da un adeguato funzionamento dei meccanismi che regolano il rapporto tra nuove e vecchie generazioni.

L’Italia ha due grandi punti di criticità che indeboliscono tale rapporto in modo maggiore che in passato e rispetto ai paesi con cui ci confrontiamo: l’enorme debito pubblico e gli squilibri demografici. I dati recenti ci dicono che siamo in grande difficoltà ad affrontare entrambi con conseguenze negative sulle possibilità di benessere e sviluppo futuro. I dati del rapporto Istat, più nello specifico, ci dicono che la fecondità in Italia continua ad essere bloccata sui livelli più bassi in Europa, con conseguente struttura per età della popolazione che non diventa più vecchia solo perché più longeva ma perché anche sempre più povera di giovani. La stessa qualità della vita nelle fasi più mature ha bisogno di un rinnovo generazionale che funzioni.

Quali sono le prospettive allo stato attuale per l’Italia?

Se l’Italia non inverte la tendenza rischia di trovarsi verso la metà di questo secolo con ventenni che sono la metà dei settantacinquenni. Mettiamoci nei panni di quei ventenni: con squilibri di questo tipo saremo per loro un paese attrattivo? Riusciremo a convincerli a rimanere per pagare il debito pubblico e i costi di un rapporto tra anziani e popolazione attiva tra i più sfavorevoli al mondo?

Quali sono le conseguenze per il sistema sanitario, previdenziale, sociale?

Il nostro Paese ha in comune con le altre economie mature avanzate la sfida di assicurare una buona qualità della vita alle persone che, grazie alla longevità, arrivano in età anziana (con adeguate pensioni, possibilità di cura e assistenza). Ha meno condizioni per riuscirci per la riduzione continua della consistenza delle nuove generazioni. Come conseguenza di tale processo l’Italia sta subendo un crollo del tutto inedito e maggiore rispetto alle altre economie mature avanzate della fascia giovane-adulta. Va così a ridursi la capacità di generare ricchezza, finanziare e far funzionare il sistema di welfare in generale, esponendo ad aumento di fragilità e diseguaglianze. Inoltre, la combinazione tra bassa fecondità e riduzione della popolazione nell’età in cui si forma una famiglia, rischia di portare ad una sorta di reazione a catena generazionale: meno genitori e via via ancor meno figli e genitori futuri (è la cosiddetta “trappola demografica”).  Una parte sempre più ampia del territorio italiano, in particolare e aree interne e montane, si trova già oggi in forte sofferenza come conseguenza degli squilibri prodotti dal debole rinnovo generazionale, con difficoltà a garantire servizi di base.

E’ possibile invertire la tendenza? E come?

E’ bene essere consapevoli che per la situazione in cui l’Italia si trova (come combinazione di persistente bassa fecondità e struttura demografica sbilanciata a sfavore delle nuove generazioni) la possibilità di dare impulso a una solida fase di inversione di tendenza si può ottenere solo allineandosi alle migliori esperienze europee. Le esperienze europee ci dicono che l’aiuto economico è la leva più efficace come effetto di breve periodo per risollevare le nascite, perché consente di sbloccare – tanto più dopo una crisi e in condizioni di incertezza – una scelta lasciata in sospeso e continuamente rinviata. Ma affinché a tale impulso si agganci un effettivo processo di inversione di tendenza serve un processo di solido miglioramento di servizi e strumenti a favore delle famiglie e a sostegno delle scelte genitoriali, con monitoraggio e valutazione continua dell’efficacia rispetto ai risultati attesi. L’investimento tramite il PNRR sui nidi è cruciale in questo senso.

Le politiche che si stanno mettendo in campo possono avere qualche risultato?

La manovra prevede circa un miliardo di euro per misure a favore delle famiglie e della natalità. Non è poco se l’idea è quella di dare un segnale positivo, non è abbastanza se l’obiettivo è sostenere un solido processo di ripresa delle nascite. Riguardo al merito delle misure, c’è una attenzione alle famiglie numerose e a favorire l’arrivo del secondo figlio, ma andrebbe rafforzata ancor più l’autonomia dei giovani e la possibilità di formare una propria famiglia e a non rinviare continuamente il primo figlio. C’è la preoccupazione di favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia, ma rimane debole la condivisione di coppia nella cura dei figli e del carico familiare che richiederebbe un rafforzamento dei congedi dedicati specificamente ai padri con copertura intera dello stipendio.

Quale può essere il ruolo degli immigrati?

Per ridurre gli squilibri accentuati verso cui va incontro il nostro paese non basta l’aumento della natalità. L’effetto positivo di un aumento delle nascite in termini di ingressi sul mercato del lavoro si vedrà, infatti, solo tra vent’anni. Nel frattempo servono consistenti flussi migratori in grado di contenere nell’immediato la riduzione della forza lavoro potenziale e contribuire al rialzo stesso delle nascite. In definitiva, se l’obiettivo è favorire la realizzazione della scelta di avere figli e una ripresa delle nascite, le politiche familiari devono essere strutturali e realizzate in modo sinergico con le politiche generazionali, di genere e migratorie.