Non bastano i numeri del decreto flussi. Bisogna programmare gli arrivi sulla base delle reali esigenze del mondo del lavoro sostiene Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano. Il governo ha approvato il decreto flussi: arriverà mezzo milione di persone di migranti regolari nei prossimi tre anni, il 10% in più. Ma risponde alle esigenze del mondo del lavoro? «Il primo elemento da considerare è che quando il governo afferma di aver bisogno di un certo numero di ingressi dall’estero nei prossimi tre anni non si capisce come questa cifra venga calcolata. Non è strettamente legata a fabbisogni effettivi del Paese che invece tendono a essere sicuramente maggiori». E il secondo? «Conta non solo la quantità dei flussi, conta anche la qualità. Per venire incontro alle esigenze effettive del mondo del lavoro bisogna tenere in considerazione le competenze che servono, il tipo di formazione, i fabbisogni nei vari settori. Bisogna sapere quali persone effettivamente possono essere adatte e funzionali a ricoprire determinati ruoli e incarichi di lavoro. È una strada che si sta sperimentando ma che andrebbe potenziata». Di che cosa ci sarebbe bisogno? «Bisogna formare le persone nei Paesi di origine e lasciare loro poi la possibilità di scegliere se venire in Italia, ma a quel punto con competenze formate adeguate e con un piano di formazione che è comunque anche legato alle esigenze del mercato del lavoro italiano. In questo modo quando arrivano sono persone su cui è già stato fatto un investimento, che hanno canali di ingresso più sicuri, più solidi. E quindi più funzionali a venire incontro alla domanda di lavoro. Così si ottiene un sistema che funziona meglio sia per chi arriva in Italia sia per le aziende che hanno davvero i lavoratori di cui hanno bisogno e non si rischia di alimentare il lavoro sommerso che è l’altro aspetto più problematico. Insomma ci vorrebbe una programmazione». Lei ha detto che il numero effettivo di lavoratori di cui c’è bisogno è di sicuro maggiore rispetto al mezzo milione deciso dal governo. Ha idea di quanti potrebbero essere? «Purtroppo non esiste una risposta, ci mancano proprio gli strumenti. Il Cnel infatti si sta proponendo di stimare quali sono gli effettivi fabbisogni delle imprese dei territori italiani per poter poi arrivare a un numero che sia reale». Da anni si parla delle carenze del decreto flussi e della necessità di una programmazione. Secondo lei perché non si riesce a modificare il sistema? «È un problema del nostro Paese, abbiamo difficoltà ad anticipare i cambiamenti e quindi a programmare. Gestiamo sempre tutto come un’emergenza. Di conseguenza non riusciamo poi a mettere in campo dei processi che siano virtuosi. L’immigrazione non è un’emergenza temporanea che in qualche modo ci tocca accettare, ma qualcosa di strutturale che va rafforzata e che va anche a crescere di rilevanza e importanza, le persone vanno aiutate a inserirsi all’interno del processo di sviluppo del Paese».