Non si trovano lavoratori? Anche perché i giovani sono sempre meno.

05/07/2022
IL FATTO QUOTIDIANO
Non si trovano lavoratori? Anche perché i giovani sono sempre meno. IL FATTO QUOTIDIANO

È l’unico fattore che nessuno sembra considerare quando si parla della crescente difficoltà delle imprese nel trovare operai e tecnici specializzati, ingegneri, informatici. Qualcuno – come sempre – dà la colpa al reddito di cittadinanza, molti si concentrano sull’evidenza dei salari troppo bassi, altri sottolineano la distanza tra i percorsi formativi e le necessità del mercato. L’elefante nella stanza è la demografia: non si trovano giovani lavoratori (anche) perché di giovani in Italia ce ne sono troppo pochi. Il fenomeno del cosiddetto “degiovanimento“, che gli esperti paventano da anni, è esploso e ora le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. “Abbiamo la più bassa percentuale di under 35 in Europa”, riassume il demografo Alessandro Rosina. “Siamo poveri di quella che è la risorsa naturale più importante per ogni Paese che voglia crescere. Ce ne siamo accorti solo ora che c’è un Piano di ripresa con grandi risorse a disposizione, ma che per essere realizzato richiederebbe le competenze e il contributo qualificato dei giovani”. Il tempo per invertire la rotta è quasi terminato: “Ci giochiamo tutto nei prossimi due anni. Se continuiamo a mettere delle toppe, invece che intervenire a monte, potremo solo gestire il declino perché non sia troppo drammatico. Il Paese rischia di trovarsi ai margini dei grandi processi di crescita delle aree più competitive, in un circolo vizioso di basso sviluppo”.

I dati Istat dicono che solo tra 2018 e 2021 la popolazione tra i 15 e i 34 anni è calata di oltre 260mila unità, scendendo a quota 12 milioni. Le forze di lavoro in quella fascia di età, che comprendono gli occupati e le persone che cercano un posto ma non gli inattivi, si sono ristrette ancora di più: -278mila. Vent’anni fa, nel 2002, erano 9,4 milioni, nel 2012 erano scese a 7 milioni, all’inizio del 2022 si fermavano a 6 milioni. La fascia dei 30-34enni, giovani adulti che si avviano verso l’apice della vita attiva, si sta assottigliando a ritmi rapidissimi: in un decennio la somma di occupati e disoccupati di quell’età è diminuita da 3 a 2,4 milioni. “Oggi sono un terzo in meno rispetto ai 50-54enni”, riprende Rosina, “quindi nei prossimi 30 anni assisteremo a una riduzione di un terzo della popolazione in età attiva“. Anche in questo caso si tratta del dato peggiore in Europa: la Francia, per fare un confronto, va incontro a un calo del 10%, in Germania si prevede un -15%. Nel frattempo la maggioranza si spacca sullo Ius scholae, la legge che porterebbe a riconoscere la cittadinanza a un milione di ragazzi under 18 nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni.

Ad aggravare il quadro c’è il fatto che, mentre diventano sempre di meno, i giovani scontano le solite fragilità italiane sul fronte della formazione (l’Italia è prima in Ue per dispersione scolastica e per quota di ragazzi e giovani adulti che non studiano né lavorano, penultima per percentuale di under 35 laureati), dei servizi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (secondo l’Inapp ancora oggi solo il 4% di chi trova un posto lo fa grazie ai Centri per l’impiego), delle politiche abitative e di quelle per la conciliazione. E subiscono le distorsioni di un mercato che invece di valorizzarli offre salari da fame o comunque insufficienti – anche nel settore pubblico – per consentire l’uscita dalla famiglia di origine e la costruzione della propria. “Il degiovanimento è la combinazione tra il calo quantitativo e questo indebolimento qualitativo. Depotenzia l’energia principale che un Paese può mettere in campo per alimentare ogni processo di crescita. Questa sfida non è stata capita: siamo in un momento di snodo cruciale“.

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