Quante fandonie su di loro da chi non ricorda i suoi 18 anni

20/01/2018
Quante fandonie su di loro da chi non ricorda i suoi 18 anni ORIGAMI - LA STAMPA

Delle nuove generazioni le precedenti tendono spesso a parlare male: non leggono, non si impegnano, consumano il sesso e l’amore senza sentimento, insomma, «sono peggio di noi». Il più delle volte sono le fandonie di chi perde la giovinezza e non accetta più o non si ricorda più com’era la sua. Eppure delle differenze reali esistono. Per fare un quadro oggettivo della situazione chiediamo aiuto al demografo Alessandro Rosina, docente all’Università Cattolica di Milano e Coordinatore del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo.

Professore, cosa ci dicono i dati statistici sui diciottenni oggi?

Dal punto di vista demografico i diciottenni sono circa 580 mila. Nati in un periodo di persistente denatalità, sono meno numerosi rispetto alle generazioni precedenti. Sono, ad esempio, non solo meno dei 40enni (pari a 880 mila) ma anche dei 65enni (circa 700 mila). Tra di loro ci sono circa 45 mila stranieri. Rispetto agli altri paesi più bassa è la percentuale di chi vive già per conto proprio. Tendono inoltre a vivere, molto più che in passato, in famiglie in cui sono figli unici e ad avere ancora tutti i nonni viventi.

Politica, consumi, abitudini: è possibile tracciarne un ritratto?

L’attenzione verso la politica non è elevata. Da un lato i partiti tradizionali hanno perso la capacità di usare temi e linguaggi vicini alle nuove generazioni. Dall’altro anche i contenuti sembrano poco credibili per le condizioni di difficoltà in cui si trovano i giovani, soprattutto nel mondo del lavoro. Appartenenze e scelte sono continuamente rimesse in discussione. Il bisogno di punti di riferimento, seppur non rigidi, però rimane. Molto forte è ancora la protezione della famiglia. Ovviamente contano molto amicizie e social network. Le modalità di informazione passano sempre meno dalla carta stampata, ma i ragazzi sono consci dei limiti e delle insidie del web.

A che generazione appartengono i diciottenni?

Fanno parte della generazione Z, seconda generazione a diventare adulta nel nuovo millennio, prima a crescerci fin dall’infanzia. Sono la prima Generazione 2.0. C’è chi ha proposto di chiamarli iGeneration (iGen) o Digitarians o Touch generation. Un cambiamento con grande impatto anche sulle modalità (formali e informali) di apprendimento e di ricerca di occupazione, oltre che sui processi di produzione e consumo. È spiccata la necessità e la propensione a sperimentare, al learning by doing, in un mondo che pone sfide inedite e rispetto alle quali le generazioni precedenti non hanno soluzioni consolidate (o magari pretendono di averle ma non funzionano più).

Cosa li differenzia dai Millennials (le persone nate tra i primi Anni 80 e la fine dei 90)?

Gli Zeta sembrano più disillusi sulla possibilità di cambiare il mondo e renderlo migliore. I Millennials sono partiti da aspettative elevate che poi si sono trovati a ridimensionare (per i rischi del terrorismo, la crisi economica, ecc.). Gli Zeta partono con meno aspettative ma non sono meno determinati. Potrebbero essere favoriti dal fatto che vivranno la fase centrale della transizione alla vita adulta in una fase di crescita economica. Potrebbero quindi, se le condizioni dovessero evolvere positivamente, anche diventare protagonisti di un nuovo modello di sviluppo più attento alla qualità dei consumi e al benessere in senso ampio. I diciottenni sono la componente più matura della generazione Z, quindi somigliano in parte anche ai Millennials, non c’è mai una distinzione netta tra due generazioni.

Cosa devono aspettarsi dal futuro adolescenti e diciottenni?

Gli Zeta vivono in un mondo sempre più complesso e in accelerazione. Possono però prepararsi per tempo. Formare e rafforzare conoscenze e competenze utili per il cambiamento è ciò che serve a una generazione che arriverà a vivere in media oltre i 90 anni. È una generazione che deve confrontarsi già oggi con l’incertezza rispetto al futuro, genitori iperprotettivi, educatori maturi che faticano a gestire come opportunità gli strumenti digitali e il multiculturalismo. Possono quindi trovarsi con diversità che alimentino le diseguaglianze, esposizione alle insidie del web e cyberbullismo, senso di inadeguatezza, difficoltà di relazione, deficit di concentrazione, scoraggiamento. Capire di “quali” giovani è composta questa nuova generazione e aiutarli a dare qualità alla loro vita e al futuro comune è il compito che devono darsi le generazioni precedenti. L’impegno a dimostrare quanto valgono possono però mettercelo solo loro