Rinunceremo ai nostri progetti futuri per paura di fallire?

26/01/2024
ANSA
Rinunceremo ai nostri progetti futuri per paura di fallire? ANSA

Secondo una indagine Coop sulle aspettative degli italiani per il 2024, circa una persona su tre dichiara di aver rinunciato ad acquistare casa o a cambiare lavoro. Vorrebbe, ma già sa che non lo farà. E tra i giovani 20-40enni, oltre la metà si dichiara per nulla interessata a diventare genitore, mentre un ulteriore 28% vorrebbe un figlio, ma già prevede che non sarà possibile. Interrogati sullo stato d’animo con cui si inizierà l’anno, nonostante una certa inquietudine per le tensioni geopolitiche, l’instabilità economica e i cambiamenti climatici, tra i sentimenti dominanti dei cittadini trovano posto la serenità (33% degli intervistati) e l’accettazione (28%). Così, in un clima tra il positivo e l’amaro, si abbandonano sogni e progetti futuri.

In un contesto di incertezza in cui molte opportunità di miglioramento della qualità della vita sono limitate, una fotografia del genere non dovrebbe sorprendere. Eppure, questi dati hanno lasciato dell’amaro in bocca anche a me. Un amaro che dovrebbe mettere in allarme un po’ tutti, perché senza progettualità per il futuro non c’è cambiamento. Se rinunciamo a inseguire i nostri progetti o peggio ancora a realizzare nuovi progetti, come potremo dare una direzione ai nostri passi? Se smettiamo di credere nel futuro che vogliamo o non riponiamo sufficiente fiducia e impegno, come potranno “cambiare le cose”? Si tratta di un tema che riguarda tanto le persone quanto la politica.

Partiamo dai giovani. Alessandro Rosina, tra i maggiori esperti italiani di demografia, chiarisce che il vero problema del nostro Paese non è l’invecchiamento, dal momento che la longevità intesa come vivere bene e a lungo va favorita, ma il “degiovanimento”, e quindi l’indebolimento della popolazione attiva: “L’anomalia italiana non è la longevità, ma l’avere sempre meno giovani, caratterizzati oltretutto da una debole presenza nella società e nel mondo del lavoro”. Un degiovanimento quantitativo, con sempre meno giovani a causa sia delle minori nascite sia dell’emigrazione in altri Paesi causata dal non poter realizzare i propri sogni nel nostro, e un degiovanimento qualitativo, non essendo i giovani messi nelle condizioni di poter dare il proprio “contributo qualificato allo sviluppo economico e sociale”. Con la frequente carenza di un adeguato compenso per il lavoro svolto, essi diventano anche meno propensi a mettere su famiglia e fare figli.

 

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