Rosina: «La scuola non deve formare lavoratori, ma nemmeno disoccupati»

31/01/2018
VITA MAGAZINE
Rosina: «La scuola non deve formare lavoratori, ma nemmeno disoccupati» VITA MAGAZINE

Alessandro Rosina cura da diversi anni il Rapporto Giovani, promosso dall’Istituto di Studi Superiori Giuseppe Toniolo e professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano. Ha scritto “NEET. Giovani che non studiano e non lavorano” (2015) e già nel 2009 di “Non è un paese per giovani. L’anomalia italiana: una generazione senza voce”. A lui abbiamo chiesto un commento alla lettera che Confindustria Cuneo ha scritto alle famiglie che si apprestano a iscrivere i propri figli alle scuole superiori, per ricordare che le imprese del territorio prevedono di assumere addetti agli impianti e ai macchinari, operai specializzati, tecnici specializzati.

Se i ragazzi vorranno trovare lavoro è meglio che si confrontino da subito con questo dato di realtà, ha detto Confindustria. Ha fatto bene o male? Cosa la convince e cosa no di questa iniziativa?
Nel nostro Paese troppi giovani si perdono nel percorso di transizione dalla scuola al lavoro. Gli interlocutori principali dei giovani nel compiere con successo tale percorso sono le famiglie, la scuola, le aziende, i servizi per l’impiego. Più tali soggetti dialogano e interagiscono tra di loro, meno i giovani rischiano di fare scelte sbagliate, di uscire fragili dal sistema di istruzione e di non trovare un impiego coerente con le proprie aspirazioni e la formazione svolta. Quello che mi convince è quindi il confronto aperto tra aziende e famiglie, che passa attraverso il ruolo della scuola. Quello che mi convince di meno è il fatto che ciò avvenga in modo estemporaneo, partendo da una urgenza ed esigenza del mercato, non invece come sistema concertato e programmato che fa entrare in sinergia tutti gli attori che possono contribuire ad una formazione di successo per affrontare le sfide della vita e del lavoro in un mondo in continuo cambiamento.

Nella lettera si fa un appello esplicito alla razionalità contrapposta agli ideali e agli aspetti emotivi. C’è persino una chiamata alla responsabilità nei confronti del territorio: è corretto impostare in questo modo la scelta della scuola superiore a 14 anni?
I ragazzi alla fine delle medie, assieme alle famiglie, devono fare una scelta: troppi giovani dicono che tornando indietro avrebbero fatto una scelta diversa. Troppi sono i giovani che non trovano lavoro o trovano un lavoro non coerente con la propria formazione. La chiamata di responsabilità nei confronti del territorio non può valere per la scelta di un quattordicenne, che deve cercare prima di tutto di capire se stesso, quali sono i suoi desideri e le sue aspirazioni. È però giusto che sia chiaro quello che il territorio può offrire oggi e in prospettiva, in modo che i giovani e le famiglie possano fare scelte consapevoli: non necessariamente piegate alle esigenze odierne delle aziende, ma nemmeno ignare della realtà, intesa sia come limiti che come opportunità.

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