Se l’Italia continuasse a non far figli… ecco come sarebbe nel 2080 e che problemi sociali avrebbe

01/02/2024
Se l’Italia continuasse a non far figli… ecco come sarebbe nel 2080 e che problemi sociali avrebbe FOCUS

Benvenuti nell’Italia del 2080. La popolazione del Bel Paese è scesa a 45 milioni e 831 mila abitanti: 13 milioni di persone in meno rispetto al 2023. È come se Lazio, Campania e Calabria si fossero completamente svuotate. Il calo delle nascite, iniziato negli anni ’80 del secolo precedente, ha ridotto infatti la popolazione. E l’arrivo degli immigrati, frenato dai decreti sui flussi, non è riuscito a compensare le perdite. La popolazione è calata al punto che l’Unione Europea ha ridotto i seggi dell’Italia da 76 a 61, come la Spagna. Il nostro Paese ora conta sempre meno nel panorama internazionale. E riceve meno fondi. Il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione hanno colpito tutta Europa, ma non quanto l’Italia.

I piccoli paesi del Sud sono deserti: chi non è emigrato all’estero si è trasferito nelle grandi città per trovare lavoro in un mercato che non si rinnova dal 2032, quando gli ultimi figli del “baby boom” sono andati in pensione, liberando molti posti. Ora, però, si va in pensione a 73 anni, il mercato del lavoro si rinnova poco e le professioni più richieste sono legate al mondo dell’assistenza. Perché l’Italia è diventata un Paese per vecchi: per ogni ragazzo sotto i 15 anni ci sono 3 anziani sopra i 65 anni. Il mercato delle case è fermo da anni. Per le strade c’è meno traffico, la popolazione in età da lavoro è calata e il mancato apporto dei giovani si sente: startup e brevetti sono molto diminuiti rispetto al passato. Così le aziende spingono i dipendenti a fare più straordinari, per aumentare la produzione.

Maestre d’asilo e maestre elementari, professori delle medie e delle superiori si sono riqualificati come educatori nelle residenze per anziani, ospitate nei locali che un tempo erano scuole elementari e medie. Nelle grandi città i Comuni hanno edificato “quartieri d’argento”, con la formula del cohousing sociale: dato che molti anziani sono donne single (l’aspettativa di vita è di 87,9 anni, ma per le donne sfiora i 90), condividono i servizi assistenziali e le colf in case attrezzate con la domotica. Il principale traino dell’economia sono infatti i servizi alla terza e alla quarta età: spettacoli, ma soprattutto l’assistenza, che ora incide in modo molto più pesante sui bilanci dello Stato.

MERCATO STAGNANTE

Com’è possibile un destino simile? Lo scenario mostra come potrebbe diventare il nostro Paese fra poco meno di 60 anni, se proseguiranno le tendenze attuali: fertilità in calo, speranza di vita più lunga e un numero di immigrati intorno ai 136mila l’anno, il tetto stabilito oggi. Tre fattori che, da soli, trascinerebbero

l’Italia in un panorama sociale ed economico asfittico, se non cambiasse lo scenario geopolitico internazionale (crisi umanitarie, crisi economiche) e soprattutto la politica. Dunque un esercizio di fantasia, anche se le cifre citate sopra sono attinte dalle proiezioni dell’Istat e della Ragioneria dello Stato, basate sui migliori dati disponibili.  Perché il calo demografico è come la siccità: una spirale da cui è difficile uscire. «Se la popolazione diminuisce», avverte Luigi Campiglio, docente di politica economica all’Università Cattolica di Milano, «si entra in un’economia molto più rischiosa. Se la popolazione cala, la domanda si contrae sempre più e gli imprenditoridiventano molto cauti negli investimenti. Si entra in un mercato stagnante da cui, poi, è sempre più difficile uscire».

Ma come siamo arrivati fin qui e cosa possiamo fare oggi per evitare un futuro così nero? Le radici della crisi demografica italiana non sono recenti: il tasso di fertilità è sceso sotto i 2 figli, il tetto minimo del ricambio generazionale (quando i 2 ge  nitori muoiono, il saldo naturale è compensato dai loro discendenti) nel lontano 1977. Il primo saldo naturale negativo, l’anno in cui i morti sono stati più numerosi dei nati, risale al 1993. E così nel 2022 ci siamo ritrovati con numero di nati sceso, per la prima volta nella storia d’Italia, sotto il tetto dei 400mila individui. Nel frattempo, la vita media si è allungata, passando dai 69,75 anni del 1963 agli 82,65 del 2023 (v. grafici alle prossime pagine).

«Avere figli è una scelta sempre meno scontata: l’eventualità è lasciata in sospeso dalle giovani coppie fino a quando si creano le condizioni adatte per potersi realizzare al meglio», scrive Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano, nel libro Crisi demografica (Vita e Pensiero). «I genitori della nostra epoca hanno il desiderio di veder crescere i figli in un contesto di sicurezza, con adeguate cure e benessere. La situazione di incertezza generale porta a posticipare la formazione di una famiglia, condizionandola all’aver terminato gli studi, all’avere un lavoro e un’abitazione adeguati».

Si fanno meno figli e sempre più tardi. Non è un caso, infatti, che i boom economici abbiano fatto impennare le nascite (la generazione del baby boom, nata fra il 1946 e il 1964, è la coorte più numerosa), e che le congiunture negative (l’esplosione del debito pubblico dagli anni ’90, le crisi economiche del 2008 e del 2011) le abbiano frenate.

E questi scenari economici si innestano in un Paese che da decenni non investe sulle nuove generazioni. Gli asili nido sono scarsi, coprendo solo il 26,6% dei bisogni (l’obiettivo europeo è di arrivare al 45%), i congedi parentali sono limitati, il part-time è malvisto dalle aziende e il tasso d’occupazione femminile è quasi 20 punti percentuali più basso di quello maschile.

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