Senza più nascite il Mezzogiorno non ha un futuro

20/10/2023
Senza più nascite il Mezzogiorno non ha un futuro LA REPUBBLICA (ed. Bari) - 20 Ottobre 2023

Si fa presto a dire che il Sud lentamente muore di denatalità e spopolamento. I numeri, impietosi, fotografano una situazione incontrovertibile ma, da soli, non bastano a interpretare quanto stia accadendo. Lo sa bene Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di

Milano, ospite oggi a Bari del festival Punto Sud per il talk “Un Sud senza persone? Denatalità e degiovanimento nel Mezzogiorno di oggi” che lo vedrà dialogare con l’editore Alessandro Laterza (alle 18,30 nello spazio Murat). Professore, secondo l’Istat dal 2018 al 2022 l’Italia ha perso un milione di abitanti con il picco al Sud di 629mila persone. Che sta succedendo?

Il Sud Italia è passato dall’essere una delle aree più prolifiche dell’Europa occidentale a una delle demograficamente più depresse. Per tutto il Novecento – pur con fasi caratterizzate da consistenti flussi di uscita verso l’Estero e verso le regioni centro-settentrionali – la popolazione meridionale è stata in aumento. In particolare l’area meridionale nel suo complesso è passata da meno 18 milioni del censimento del 1951 a valori superiori ai 20 milioni verso fine Novecento. E’ rimasta sostanzialmente stabile sopra tale livello fino al 2012 dopodiché è iniziata una fase di irreversibile riduzione. Attualmente il Mezzogiorno si trova sotto i 20 milioni. L’indebolimento della crescita è la conseguenza di dinamiche della natalità diventate negli ultimi decenni peggiori al Sud rispetto al resto del Paese, fino a portare il numero medio di figli per donna meridionale sotto il dato nazionale.

Il Mezzogiorno sta diventando un “paese” per vecchi?

La popolazione anziana, come conseguenza dell’aumento della longevità, è in aumento in tutta Europa. Quello che caratterizza l’Italia è il “degiovanimento”, ovvero la maggior riduzione di giovani, con il Sud che accentua ulteriormente questa anomalia. Quindi la questione non è tanto l’aumento dei “vecchi” ma il fatto che in alcuni territori saranno soli, ovvero senza una adeguata presenza delle fasce più giovani, quindi con minor possibilità di garantire sviluppo e servizi in quei contesti. Se non si è un paese per giovani non si è, quindi, neanche un paese per vecchi, perché le conseguenze delle difficoltà che portano i giovani ad andarsene o a rinunciare ad avere figli vanno poi a minare le basi su cui costruire sviluppo e benessere per tutte le età.

Allo stesso modo la prolungata permanenza nella casa dei genitori, legata in passato maggiormente a fattori culturali e caratterizzante soprattutto le regioni del Nord, con l’entrata in questo secolo ha visto aumentare i motivi economici ed è diventata prevalente nel Mezzogiorno. La scelta oggi di molti giovani meridionali è tra rimanere a lungo a vivere con i genitori o andarsene molto lontano dove trovare migliori opportunità.

Nel 2022 l’Italia ha registrato il picco negativo di natalità dall’Unità a oggi: 393mila nuovi nati. Come è andata nel Mezzogiorno? Qual è la situazione in tema di denatalità e invecchiamento della popolazione?

Le nascite nel Mezzogiorno da 270 mila circa del 1992, corrispondenti a quasi la metà sul totale italiano, sono scese a 141 mila nel 2022, ovvero poco più di un terzo del dato nazionale.

Questo crollo diventato più accentuato nel Sud è ancor più grave perché se nelle regioni del Nord la bassa natalità è in parte compensata dall’immigrazione, nell’Italia meridionale l’impatto della denatalità sulla struttura per età è ulteriormente aggravato da consistenti fuoriuscite, costituite soprattutto dai giovani più dinamici e intraprendenti. Si tratta, quindi, sia una perdita quantitativa che qualitativa che impoverisce il territorio di partenza.

Non è forse lo spopolamento, a questo punto, l’origine di tutti i mali per il Sud? (qui sarebbe utile qualche sua indicazione numerica)

Lo spopolamento è la conseguenza delle difficoltà dei giovani meridionali ad accedere ad adeguate opportunità di lavoro nel territorio di origine e contare su un sistema di welfare che consenta di conciliare lavoro e famiglia. In particolare sono tre i tipi di servizi che andrebbero potenziati: i servizi per l’infanzia, che consentono di far crescere natalità e occupazione femminile; i servizi per l’impiego, ovvero i canali formali che consentono di rendere più efficiente l’incontro tra domanda e offerta; i servizi domiciliari per gli anziani non autosufficienti, per rispondere alla domanda crescente di accudimento che altrimenti grava pesantemente sulle famiglie.

Lo spopolamento, però, è esso stesso causa di basso sviluppo e basso benessere, perché fa mancare le energie e le intelligenze che possono tornare a dare vitalità ai territori e invertire la tendenza. Se prosegue la tendenza attuale, secondo le previsioni Istat il Mezzogiorno potrebbe scendere a poco più di 15 milioni a metà di questo secolo e a circa 10 milioni nel 2080. Ma ancor più rilevanti saranno gli squilibri interni che si producono. Attualmente la popolazione dei 25enni sta per essere superata dai 75enni e al 2050 questi secondi sarebbero destinati a diventare il doppio dei primi.

Il fenomeno dello spopolamento interessa com’è noto in particolar modo le aree interne: la prospettiva è fra qualche decennio un arcipelago di ghost town nel Mezzogiorno?

Se nei prossimi decessi è attesa una rilevante riduzione della popolazione meridionale, ciò non avverrà con omogeneità su tutto il territorio. I problemi si manifesteranno prima nelle aree più fragili e periferiche che si troveranno sempre più in difficoltà a garantire anche servizi essenziali. Possiamo pensare allo spopolamene similmente ad una pandemia, i cui primi focolai sono le aree interne, dalle quali, se non si pone un argine al processo, si espande progressivamente nel resto del territorio.

Da che parte iniziare perché il Sud non sia terra di pochi sopravvissuti e dunque più turisti che abitanti? I flussi migratori possono rappresentare una soluzione per controbilanciare l’emorragia della popolazione?

Da un lato è vero che per ridurre gli squilibri accentuati verso cui sta andando incontro il Sud non basta l’aumento della natalità. L’effetto positivo di maggiori nascite sugli ingressi nel mercato del lavoro si vedrà, infatti, solo tra vent’anni. Nel frattempo servono consistenti flussi migratori in grado di contenere nell’immediato la riduzione delle nuove generazioni nei contesti con maggior crollo della forza lavoro potenziale, quella cruciale per generare sviluppo sul territorio, finanziare e far funzionare il sistema di welfare.

Ma è difficile essere attrattivi se i giovani del Sud se ne vanno per carenza di servizi e di opportunità di lavoro. E’ difficile che la stessa immigrazione contribuisca all’aumento della natalità se alle stesse donne del Sud mancano strumenti per conciliare lavoro e famiglia.

Detto in altre parole, le condizioni sono tali che senza immigrazione è difficile far tornare a salire le nascite e contrastare lo spopolamento. Ma questo è possibile solo con un processo che contestualmente migliora le politiche familiari, generazionali e di genere, all’interno di un coerente percorso di sviluppo.