Sono più di 3 milioni i giovani che non studiano e non lavorano

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Ma perché in Italia abbiamo un numero così alto di Neet? «La causa principale è costituita dalle fragilità del percorso di transizione scuola-lavoro, che assomiglia a un labirinto con elevato rischio di perdersi. E al poco dialogo che c’è tra formazione, aziende e centri per l’impiego» spiega Alessandro Rosina, professore di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano e coordinatore scientifico dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo. Le possibilità, però, per invertire la rotta ci sono. «Bisognerebbe potenziare i percorsi professionali post-diploma, i cosiddetti Its (Istituti tecnici superiori), che, a differenza di altri Stati europei come Germania, Francia e Paesi Scandinavi, qui da noi sono ancora poco conosciuti e spesso sottovalutati». A dirlo sono anche i numeri: in Germania gli iscritti alle “Fachhochschulen”, la formazione terziaria professionalizzante, sono più di 800.000, quasi un terzo di tutti gli studenti universitari; in Francia esistono gli “Iut”, Institutes univertsitaires de Technologie, che offrono formazione tecnica superiore con docenti provenienti dal mondo del lavoro, e che sono frequentati da circa 200.000 ragazzi, contro i 19.000 dell’Italia. «Dovremmo anche facilitare le modalità di accesso al mondo del lavoro, utilizzando di più i contratti di apprendistato, che permettono di essere assunti da un’azienda, iniziare a lavorare e continuare a studiare» osserva Rosina. E Joyce aggiunge: «Magari ci fosse stato un momento di orientamento al liceo. Sarebbe stato bellissimo!». Ma anche qui siamo piuttosto indietro: in pochissimi licei sono previsti incontri per scegliere il percorso lavorativo o universitario. «Per creare posti di lavoro per i ragazzi, le aziende dovrebbero investire di più in ricerca, sviluppo e innovazione, settori dove i giovani potrebbero trovare facilmente impiego e portare le loro conoscenze. E infine sarebbe importantissimo sviluppare i centri per l’impiego, sia aumentandone la copertura sia assumendo operatori competenti, in grado di aiutare questi ragazzi. A cui dobbiamo insegnare a ritrovare fiducia per tornare a sentirsi parte attiva di un Paese che cresce e che li mette al centro dello sviluppo» conclude Rosina.

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