Rendere il nido un effettivo diritto per tutti

Portare la copertura dei nidi al 33 percento non basta. Se davvero si vuole invertire la tendenza negativa delle nascite e favorire una solida fase di sviluppo del paese – come chiarisce Alessandro Rosina in questo contributo – è necessario avviare un processo che porti le politiche familiari ad allinearsi alle migliori esperienze europee.

Se la bassa fecondità può essere dovuta a vari motivi, nei contesti con alta occupazione femminile e fecondità vicina ai due figli per donna difficilmente manca una solida e accessibile offerta dei nidi. Si tratta quindi di una condizione (non sufficiente ma) necessaria nei paesi che vogliano sostenere al rialzo l’investimento sul lavoro, sia di uomini che di donne, e la realizzazione del numero desiderato di figli. Oltre a rispondere alla domanda di conciliazione i servizi per l’infanzia rivestono (ancor più) una funzione cruciale per lo sviluppo socio-educativo delle persone a partire dalla nascita.

L’assegno unico-universale assume come destinatario il bambino, indipendentemente dalle caratteristiche dei genitori. Il congedo di paternità obbligatorio risponde all’esigenza dei figli di poter beneficiare anche della presenza del padre nei primi giorni di vita. Continua invece a mancare in Italia un piano che metta al centro – attraverso servizi di qualità e in grado di raggiungere tutti – il “diritto di ogni bambino” di poter contare su una proposta educativa stimolante e qualificata fin dall’infanzia.

Centralità del bambino ed esigenze delle famiglie devono essere tenuti assieme, perché la decisione di avere un figlio è strettamente legata alle prospettive di allevarlo e farlo crescere in un contesto favorevole al suo sviluppo umano e relazionale. Il Rapporto “Investire nell’infanzia”1 di Alleanza per l’infanzia e della rete #educAzioni, evidenzia come l’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro sia una questione sempre più centrale non solo per le famiglie, ma anche per le aziende, non solo sul versante femminile, ma anche maschile. Il potenziamento dei servizi di qualità per l’infanzia si pone come elemento centrale di un percorso che possa favorire un aumento: dei tassi di partecipazione femminile al mercato dal lavoro, della natalità, dello sviluppo umano delle nuove generazioni, dei livelli di benessere economico delle famiglie e dei livelli di fiducia; oltre che una riduzione: della povertà infantile (materiale ed educativa), delle diseguaglianze di opportunità, del gender gap (in termini di equilibrio dei ruoli all’interno della coppia).

Inoltre, consistenti sono i dati delle ricerche che evidenziano come quanto più precoce è l’investimento sulla riduzione delle diseguaglianze di partenza e sul rafforzamento del capitale umano, tanto più solidi sono i risultati e il ritorno sociale (fondamentali in questo senso sono considerati i cosiddetti ‘primi 1.000 giorni’).

L’obiettivo non è il 33 percento ma garantire a tutti un diritto
La vera rivoluzione è quindi rendere un “diritto” di ogni bambino l’offerta di un percorso educativo di qualità fin dai primissimi anni di vita, che inizi dalla garanzia di accesso al nido (con adeguati standard, da monitorare e migliorare continuamente). Questo aiuta anche a ridurre l’incertezza che grava sul processo decisionale di coppia nel momento in cui viene valutata la possibilità di avere un (altro) figlio: consente infatti di non farlo inceppare attorno alla preoccupazione che dopo la nascita non possa trovare un posto nel nido con ricadute negative per l’organizzazione familiare e rinunce sul piano lavorativo.

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