Ultima chiamata per evitare la trappola demografica

Le dinamiche demografiche nel decennio scorso sono risultate peggiori del previsto. In particolare, più di quanto ci si poteva attendere, è diminuita la fecondità sotto i 35 anni; l’andamento delle nascite da coppie straniere ha invertito la tendenza (passando da circa 80 mila nel 2012 a circa 63 mila nel 2019); si è ulteriormente consolidata la relazione tra rischio di povertà e numero di figli.

Le dinamiche demografiche nel decennio scorso sono risultate peggiori del previsto. In particolare, più di quanto ci si poteva attendere, è diminuita la fecondità sotto i 35 anni; l’andamento delle nascite da coppie straniere ha invertito la tendenza (passando da circa 80 mila nel 2012 a circa 63 mila nel 2019); si è ulteriormente consolidata la relazione tra rischio di povertà e numero di figli.

Si è poi aggiunto l’imprevisto della crisi sanitaria che ha ulteriormente inasprito le dinamiche negative già in corso. Eloquenti in questo senso sono i dati appena pubblicati del Secondo Rapporto del Gruppo di esperti “Demografia e Covid-19”, istituito dalla Ministra per le pari opportunità e la famiglia, dal titolo “L’impatto della pandemia di Covid-19 su natalità e condizione delle nuove generazioni”. I dati derivanti da indagini condotte durante il lockdown e a distanza di un anno, mostrano come l’impatto sia stato forte in tutta Europa ma a sospendere i propri piani di formazione di una famiglia siano risultati in misura maggiore i giovani italiani.

Nonostante da alcune parti si fosse addirittura avanzata l’ipotesi di un effetto positivo delle nascite nel periodo di confinamento, in realtà non solo si è registrato un crollo, ma la diminuzione è diventata una tendenza che si è protratta. Il recupero tra le prime due ondate è stato timido, tanto da far pensare che molte coppie possano aver abbandonato nel medio termine la decisione di avere un (altro) figlio. I dati Istat sulle nascite confermano come le ricadute negative siano state subite soprattutto dalle persone con situazione di maggior provvisorietà. In particolare, il valore del picco negativo record di gennaio 2021 è stato circa il doppio (-24%) per le donne under 25 e per le immigrate rispetto a quello generale. Inoltre, per entrambe tali due categorie (ma anche per la fascia 25-29) il recupero risulta del tutto assente e i valori sono sistematicamente peggiori dell’incidenza media lungo tutto il periodo considerato. A risultare confermate sono anche le evidenze su come le difficoltà di conciliazione si siano inasprite diventando ulteriore freno per l’occupazione femminile oltre che per la fecondità.

L’esito di tutto questo è stata una ulteriore caduta in basso delle nascite. Se consideriamo il primo anno “di fatto” in cui la pandemia ha esercitato la sua azione – ovvero il periodo da novembre 2020 a ottobre 2021 (tenendo conto dello slittamento di nove mesi rispetto ai concepimenti) – si ottengono 393 mila nati circa contro 441 mila del corrispondente periodo precedente (da novembre 2019 a ottobre 2020). Questo significa che la crisi sanitaria ha avuto una portata tale da far scendere le nascite sotto le 400 mila annue.

Nel complesso, attraverso i suoi effetti diretti sulla mortalità e indiretti sulla fecondità (oltre che sulla mobilità internazionale), la pandemia ha accelerato la tendenza al declino della popolazione già in atto dal 2015. Nel 2020 il saldo naturale è stato di -335 mila, il peggiore dell’ultimo secolo. Ha ulteriormente accentuato anche gli squilibri generazionali, soprattutto rendendo demograficamente ancora più deboli le nuove generazioni. I futuri ventenni del 2041 rischiano di essere, al netto dei flussi migratori, quasi 200 mila in meno dei ventenni al tempo di Covid-19, addirittura più che dimezzati rispetto ai ventenni del censimento del 1991. Sarà sempre più difficile con questi vuoti alimentare i processi produttivi e riproduttivi del paese, con la conseguenza di mettere a rischio anche la sostenibilità sociale.

Sul versante demografico la crisi sanitaria ha, quindi, prodotto un’accelerazione rispetto a dinamiche già negative. Diventa, allora, necessario rispondere con un’accelerazione anche nella capacità di azione della politica, per non rischiare che le fragilità scendano in profondità e si allarghino squilibri insanabili. Vanno con la più grande attenzione rafforzati i meccanismi che mettono in relazione positiva economia e demografia. Migliorare la transizione scuola-lavoro favorisce sia l’occupazione giovanile che la realizzazione dei propri progetti di vita. Migliorare le politiche di conciliazione consente a partecipazione femminile e fecondità di crescere assieme. Migliorare il governo dei flussi migratori e l’integrazione aiuta a rendere più solida la forza lavoro in molti settori e a rendere meno grave la trappola demografica. Su tutti questi fronti ci siamo trovati ad arretrare nel decennio scorso, è ora tempo di accelerare.

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