Un nuovo ecosistema del lavoro per non impoverire il Mezzogiorno

Servono occasioni di lavoro di qualità che consentano ai talenti, intesi nel senso più ampio, di trovare adeguate condizioni per processi di rafforzamento di crescita e competitività nelle imprese.

Con un post su facebook pubblicato a fine settembre 2019 veniva data dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala, la notizia del raggiungimento di quota 1 milione e 400 mila residenti a Milano. Un traguardo raggiunto con l’iscrizione di Andrea, neo cittadino di origini catanesi. Nello scenario pre-pandemia il Sud Italia era l’area che più perdeva giovani, mentre Milano faceva parte di poche città del centro-nord con ventenni e trentenni in crescita grazie alla propria capacità attrattiva. Nel complesso sono stati circa 250 mila i laureati a lasciare il Mezzogiorno nei primi due decenni di questo secolo. Questo impoverimento del capitale umano è allo stesso tempo effetto e causa delle difficoltà e delle contraddizioni dello sviluppo di tale area.

Come mostrano le analisi contenute nel “Rapporto giovani 2020” dell’Istituto Toniolo, da qualche giorno in libreria, nella decisione di lasciare il proprio territorio si mescolano, in varie dosi, la necessità di partire con il desiderio di confrontarsi con il mondo e prendere le misure del proprio valore. Troppo alta, in ogni caso, risulta la componente della spinta a partire e troppo compressa la possibilità di scegliere sia di rimanere (senza rassegnarsi a lavori di basso profilo), sia di tornare vedendo riconosciuta e valorizzata l’esperienza fatta altrove.

Sempre i dati del Rapporto mostrano come nei giovani del Sud tenda ad essere più ampio il divario tra aspirazioni e possibilità di realizzazione dei progetti di vita e professionali. Da un lato, maggiori rispetto ai coetanei centro-settentrionali risultano il desiderio di autonomia e di formare una propria famiglia, oltre che l’aspirazione al lavoro come modalità di autorealizzazione; la stessa identificazione con il lavoro appare più forte: tra i giovani meridionali la soddisfazione personale risulta, rispetto al resto del paese, più alta per chi ha un impiego a tempo indeterminato e più bassa per chi si trova in condizione precaria. D’altro lato, maggiori sono anche l’incertezza nei confronti del futuro e la sfiducia verso le istituzioni locali. Quello, in definitiva, che spinge molti giovani meridionali a lasciare il proprio territorio non è solo il fatto di vivere in una realtà che offre meno opportunità di altre, ma ancor più non intravedere la prospettiva di potersi sentire parte attiva di un suo miglioramento.

Il Piano per il Sud presentato dal ministro Provenzano poco prima del lockdown è impostato con un approccio mission-oriented. Una delle principali missioni proposte è “Un Sud rivolto ai giovani”, riconoscendo l’investimento nel capitale umano delle nuove generazioni come una priorità. Tra le più urgenti azioni individuate – che mirano a migliorare indicatori con valori tra i peggiori in Europa – si trova il contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, riduzione dei divari territoriali delle competenze, attrazione di ricercatori.

Nel Piano viene però anche riconosciuto che l’investimento in capitale umano non è sufficiente: è necessario ancor più dimostrare di saperlo valorizzare e renderlo effettiva leva per lo sviluppo. Servono allora occasioni di lavoro di qualità che consentano ai talenti, intesi nel senso più ampio, di trovare adeguate condizioni per processi di rafforzamento di crescita e competitività nelle imprese. Ma è cruciale anche promuovere l’intraprendenza di giovani dinamici e ben formati, sostenendo la formazione e il consolidamento di ecosistemi dell’innovazione, terreno fertile per startup ad alto contenuto tecnologico. Un processo che ha come base il rafforzamento della collaborazione tra sistema della ricerca e sistema produttivo e che deve interagire positivamente anche con le opportunità della transizione ecologica. A sua volta l’infrastrutturazione verde del territorio, le iniziative di economia circolare, il sostegno alla filiera agroalimentare, devono integrarsi con le potenzialità offerte dal turismo.

Il possibile impatto della pandemia sul piano di rilancio del Sud è triplice. Ci sono rischi diventati ancora più preoccupanti, ma anche opportunità che si sono meglio precisate, rendendo ancor più importanti e urgenti le corrispondenti azioni previste. Ma ci sono anche condizioni che sono cambiate rispetto allo scenario precedente e richiedono nuove soluzioni.

Esempi del primo caso sono l’aumento del rischio di dispersione scolastica e la crescita del tasso di disoccupazione giovanile, soprattutto per chi ha povere competenze. Nel secondo gruppo rientrano le azioni orientate a favorire un salto di qualità digitale nelle piccole e medie imprese e nella pubblica amministrazione, soprattutto attraverso incentivi a valorizzare le competenze avanzate delle nuove generazioni. Rientra, invece, nella terza fattispecie il mutamento che può subire la mobilità per studio e per lavoro, rimessa in forte discussione dall’impatto del coronavirus. Gli Andrea accolti e festeggiati da Sala, simbolo della capacità attrattiva di Milano (e, per converso, dell’impoverimento del capitale umano del Mezzogiorno), che scelte faranno e come si organizzeranno dopo l’emergenza? Quali prospettive apre il cosiddetto South working e come si inserisce nel ripensamento del rapporto tra le varie aree del paese sulla dimensione economica e sociale?

Abbiamo per troppo tempo mantenuto in contrapposizione le prospettive di sviluppo del Nord e del Sud. Sono, invece, proprio i processi che mettono in relazione mutuamente positiva i territori – valorizzando le specificità di ciascuno – che rafforzano quella crescita comune che va a vantaggio di tutti.

Sole 24 Ore – 22 Luglio 2020

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