Calo delle domande di servizio civile? Non basta renderlo accessibile a tutti

Se il “quanti siete”, anche per il servizio civile, risulta oggi la questione di maggiore preoccupazione, la risposta che serve dare sta nel valore riconosciuto a tale esperienza. Non basta renderlo accessibile (effettivamente) a tutti, deve diventare anche attrattivo (capace di farsi scegliere) e mettere nelle condizioni di essere vissuto come esperienza trasformativa (che rafforza la capacità di sentirsi soggetti attivi del mondo che cambia)

In Italia tutti sanno bene cosa vogliono dai giovani, cosa si aspettano da loro, ma molto debole è lo sforzo di capire cosa desiderano, cosa vogliono essere e dove vogliono andare.

  • I genitori italiani, in generale, vogliono che realizzino gli obiettivi che essi considerano importanti. Gli insegnanti vogliono che stiano attenti in classe e ripetano in modo ordinato contenuti predefiniti.
  • I datori di lavoro vogliono trovarli subito pronti con le competenze che servono e con disponibilità ad adattarsi alle necessità dell’azienda.
  • I partiti vogliono il loro voto alle elezioni (e poi non sentirne più parlare fino alle successive).
  • Considerazioni simili potremmo fare per la Chiesa, per i sindacati, per il mondo associativo.

Ovviamente non “tutti” ma senz’altro “troppi” rientrano in questo ritratto. Quello che, in ogni caso, sta diventando sempre più chiaro è che tutti questi mondi stanno sperimentando una crescente difficoltà ad ottenere dai giovani ciò che si vorrebbe e ci si aspetta da loro. Il problema è forse dovuto al fatto che tutti (troppi) partono da “ciò che ad essi serve che i giovani siano” anziché da “ciò che i giovani sono e vogliono diventare”.

Cosa fare? Non ci resta che piangere? Nel film che prende come titolo tale sconsolata espressione, Benigni e Troisi vengono proiettati inspiegabilmente in un tempo in cui non si ritrovano, che non riconoscono, che li costringe ad adattarsi e li imbriglia in ruoli nei quali si sentono inadeguati. Sono prigionieri in un’Italia del passato senza la capacità di incidere sugli eventi che accadono. Una delle scene più celebri è quella del passaggio del confine della Signoria fiorentina in cui il gabelliere, senza nemmeno guardare negli occhi chi transita e capire il senso di ciò che accade, automaticamente ripete “Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!”.

Possiamo considerarla una rappresentazione del modo in cui la società italiana si rivolge ai giovani: carenza di attenzione autentica e una forte richiesta a conformarsi a regole predefinite (di cui è sempre meno chiaro il senso) e a dare ciò che è chiesto (di cui è sempre meno chiaro il valore), in una realtà sempre più complessa e con coordinate di riferimento in continuo mutamento.

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Se non si cambia approccio, pensare di ottenere un maggior coinvolgimento e ruolo attivo delle nuove generazioni semplicemente rafforzando quantitativamente l’offerta non porterà ad un vero miglioramento.
Ecco allora che, dopo tanto tempo, potremmo avere politiche attive per l’impiego, formazione di competenze, contratti stabili, ma con giovani che non si riconoscono nell’idea di lavoro che gli viene proposto. Potremmo avere politiche di sostegno alla formazione di una famiglia e di conciliazione vita e lavoro, ma con giovani adattatisi a sentirsi realizzati anche senza figli. Potremmo avere un servizio civile che si estende in modo universale, ma che non riesce a intercettare i mutamenti nella domanda di impegno sociale.
Rimuovere gli ostacoli che finora hanno depotenziato il ruolo dei membri delle nuove generazioni nei processi che generano sviluppo e benessere collettivo e aspettarsi che accorrano in massa ringraziando di essere finalmente ammessi è un’illusione dalla quale liberarsi il prima possibile.

Far soffiare il vento con forza dopo che è stato a lungo flebile non porta automaticamente i giovani ad issare le loro vele. Se non è chiaro dove andare e come aggiornare le coordinate del sistema di orientamento, le vele rimarranno basse o timidamente alzate.
Se il “quanti siete”, anche per il Servizio civile, risulta oggi la questione di maggiore preoccupazione, la risposta che serve dare sta nel valore riconosciuto a tale esperienza. Non basta renderlo accessibile (effettivamente) a tutti, deve diventare anche attrattivo (capace di farsi scegliere) e mettere nelle condizioni di essere vissuto come esperienza trasformativa (che rafforza la capacità di sentirsi soggetti attivi del mondo che cambia). Tutto questo come parte di un processo che non ha risultati scontati, ma è un laboratorio continuo in cui si sperimenta, in modo autentico e collaborativo, il fare con le nuove generazioni, con strumenti condivisi per monitorare e valutare gli esiti (al fine di migliorarlo per chi verrà dopo).

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