Topic: popolazione, risorse e sviluppo

All’Italia resta un decennio per tornare a 500mila nascite. Poi sarà troppo tardi

Se le nascite in Italia proseguissero il percorso di diminuzione con il ritmo osservato nel decennio scorso (a cui si è poi aggiunta l’incertezza della pandemia) ci troveremmo ad entrare nella seconda metà di questo secolo con reparti di maternità del tutto vuoti. Lo scenario di zero nati nel 2050 difficilmente verrà effettivamente osservato – le dinamiche reali sono più complesse di una semplice estrapolazione – i dati però ci dicono che alto (oltre il livello di guardia) è diventato il rischio di un processo di declino continuo della natalità.

Una manovra finanziaria attenta alla famiglia ma scarsamente incisiva sulle dinamiche demografiche

È bene essere consapevoli che le nascite in Italia non sono solo a livello basso, ma anche posizionate su una scala mobile che le trascina ulteriormente in giù. Questa scala mobile è rappresentata dalla struttura per età della nostra popolazione, la quale, per conseguenza della denatalità passata, è in progressivo sbilanciamento a sfavore delle generazioni giovani-adulte (la fonte di vitalità di un paese). Più il tempo passa, più diventa difficile (e se continua così tra pochi anni anche impossibile) invertire la curva negativa delle nascite.
Solo il miglioramento delle opportunità dei giovani e delle donne può favorire la ripresa della natalità.

Un decennio di sguardi sull’Italia. Non è un Paese per giovani

Correva l’anno 2012 ed eravamo nel bel mezzo di quella che verrà ricorda come la “Grande recessione”. Giornali e notiziari televisivi erano pieni di titoli sul continuo peggioramento del tasso di disoccupazione giovanile, suscitando grande preoccupazione per la condizione e il destino di una intera generazione. L’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo nasce in quell’anno con l’obiettivo di costruire uno strumento solido e continuo nel tempo di studio e analisi della realtà dei giovani con una metodologia di indagine ispirata alle migliori esperienze europee. Non solo in grado di fornire dati sulla condizione oggettiva delle nuove generazioni, ma di cogliere anche il loro sguardo soggettivo sulla propria realtà e sulle trasformazioni del proprio tempo.

Otto milardi di persone: le tre sfide del futuro demografico

“La Terra è ricoperta da una sottile pellicola di materia chiamata vita; il velo è straordinariamente tenue, così sottile che il suo peso può superare di poco un miliardesimo di quello del pianeta che lo sostiene  (…). L’uomo fa parte di questo involucro sottile ed animato”. Quando Carlo Maria Cipolla scriveva questo testo – posto come incipit del volume “The Economic History of World Population” pubblicato nel 1962 – gli abitanti del pianeta erano poco più di 3 miliardi. Alla fine del XX secolo risultavano già raddoppiati. Oggi siamo oltre gli 8 miliardi.

Perché il lavoro femminile fa bene sia alla demografia che all’economia

Non c’è alcun motivo per pensare che due gemelli di sesso diverso che nascono oggi debbano trovarsi a metà di questo secolo, quando avranno 28 anni, con opportunità diverse di occupazione e remunerazione solo perché uno maschio e l’altra femmina. Nemmeno si può pensare che per aver stesse possibilità lavorative chi è donna debba rinunciare ad avere figli, come invece accade alle 28enni attuali. Il tasso di fecondità delle under 30 italiane è tra i più bassi in Europa e lo stesso vale per il tasso di occupazione femminile in età 25-29 anni. Quest’ultimo risulta attorno al 50% contro il 65% della Spagna, il 70% medio europeo, il 75% della Francia, con valori ancor più alti nel Regno Unito, in Germania e nei paesi scandinavi. Non migliora molto nella fascia tra i 30 e i 34 anni, dove la percentuale di occupate in Italia arriva al 57%, non riuscendo a recuperare nemmeno il livello medio europeo osservato nella fascia precedente.