Il dividendo demografico

L’Italia si trova a fronteggiare una crescita della popolazione anziana e una progressiva riduzione dei giovani, aggravata dalla persistente bassa natalità. La transizione demografica incide sulla forza lavoro che rischia di indebolirsi in tutti i settori produttivi. Compreso quello delle libere professioni.

Sta venendo a compimento nel XXI secolo un passaggio unico nella storia dell’umanità che porta ad un mutamento delle tradizionali fasi della vita e ad un’alterazione del tipico rapporto tra le generazioni, con implicazioni che mettono in discussione le basi che finora hanno consentito lo sviluppo economico e la sostenibilità sociale. Il motore di questa grande trasformazione è la “transizione demografica”. La prima fase di questo processo è caratterizzata dalla riduzione dei rischi di morte in età infantile e giovanile. Via via che si abbassano i rischi anche nelle età successive, il livello di fecondità che garantisce il ricambio generazionale scende progressivamente verso il valore di due (bastano due figli per sostituire i genitori alla stessa età). Va così a restringersi la base della piramide demografica a fronte di una punta
che si alza e allarga. Si entra così in una condizione del tutto nuova che impone la sfida di garantire sviluppo e benessere in un mondo in cui i giovani diventano una risorsa scarsa (“degiovanimento”) a fronte di una continua crescita della componente anziana (“invecchiamento”).

La fase in cui la fascia centrale in età lavorativa rimane ampia e prevalente su quella più giovane e quella più matura, viene chiamata “Dividendo demografico”. I paesi occidentali hanno oramai lasciato alle spalle tale dividendo perché le generazioni nate quando il numero medio di figli era superiore a due si stanno spostando verso l’età della pensione, mentre stanno entrando al centro della vita attiva quelle
nate quando la fecondità è scesa sotto tale soglia. La sfida di vivere a lungo e bene può essere colta positivamente quanto più la popolazione in età attiva rimane solida: da tale componente dipende, infatti, la capacità di un Paese di generare benessere, ovvero di alimentare i processi
di sviluppo economico e di rendere sostenibile il sistema sociale (finanziando e facendo funzionare il sistema di welfare).

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