Insegnare come si naviga oltre la linea d’ombra

Il ruolo dell’educatore deve essere un accompagnatore che insegna a sentire la chiamata che aiuta a sapersi mettere in ascolto e prepararsi a lasciare la sicurezza del passato

Quello che sta volgendo al termine in questi giorni non è stato un sinodo sui giovani, ma per loro e soprattutto con loro: perché i giovani c’erano e si son fatti sentire, con una presenza luminosa e rumorosa, attiva sui social e nei ‘circoli minori’ (i gruppi ristretti di discussione divisi per lingua), ma anche negli atri, sulle terrazze, dovunque ci si possa incontrare informalmente. Una presenza rispettosa, ma non intimidita dai titoli altisonanti dei padri sinodali (eminenze, eccellenze, beatitudini…): tutti insieme, in un cammino comune, non scontato, ciascuno portando il proprio contributo, a volte anche critico ma sempre costruttivo. Dopo il sinodo sulla famiglia, rispetto al quale è stata da tutti riconosciuta una continuità, la chiesa affronta un tema davvero cruciale, non solo per il suo futuro ma per quello dalla società intera. Perché la giovinezza è la stagione delle ‘scelte’ cruciali trasformative per la costruzione della vita adulta, quella dell’uscita dalla ‘linea d’ombra’.

Nella prima parte del cammino sinodale, sul riconoscere e l’ascoltare la realtà così come essa si manifesta, si è confermato quanto già emerso nella fase presinodale: le nuove generazioni vivono in un mondo di crescente complessità e incertezza, con alto rischio di disorientamento. Diventa sempre più difficile muoversi tra vincoli e opportunità e poter prevedere in maniera realistica le implicazioni delle proprie decisioni. In carenza di bussole condivise per orientarsi, e di supporto e accompagnamento adeguati negli snodi del percorso esistenziale e professionale, aumenta il rischio di perdersi e di portare nella vita adulta delusioni e frustrazioni anziché energie positive e competenze per realizzarsi e generare valore nella propria vita e nel contesto in cui si vive. Le vecchie mappe diventano presto obsolete, non funzionano più. Gli adulti troppo spesso sono oberati dalle contingenze, distratti, scoraggiati o assenti.

Di conseguenza – anche come risposta adattiva in un mondo caratterizzato da crescente incertezza e frammentazione – aumenta la propensione a non fare scelte troppo vincolanti in età troppo giovane, a tenersi aperta la possibilità di rimettere in discussione le scelte passate. A non compiere mai veri ‘riti di passaggio’, in cui la trasformazione diventa punto di partenza per passi successivi, in un processo di crescita continuo e irreversibile. Durante la Riunione presinodale un giovane ha ben espresso l’importanza del discernimento per la vita: «Oggi, come migliaia di altri giovani, credenti o non credenti, devo fare delle scelte, soprattutto per quanto riguarda il mio orientamento professionale. Tuttavia, sono indeciso, perso e preoccupato. […] Mi trovo ora come di fronte a un muro, quello di dare senso profondo alla mia vita. Penso di aver bisogno di discernimento di fronte a questo vuoto» (IL 106). È quindi oggi ancora più importante un’educazione che aiuti ad andare oltre il ‘qui e ora’, che prefiguri la possibilità di trasformare i desideri in veri cammini di vita con scelte fatte oggi che impegnino positivamente verso il domani. I giovani più (e prima) che essere il futuro devono allora poter abitare pienamente e gioiosamente il presente. Devono poter considerare l’oggi non solo come il luogo dell’attesa, ma anche come il tempo delle esperienze e delle scelte in cui ci si riconosce e che proiettano una luce positiva sul proprio percorso successivo. Da qui l’invito al ‘discernimento’, che ha alla base lo sviluppo della capacità di saper dare senso e valore alle scelte che accrescono il proprio essere e fare nel mondo.

Nella cultura contemporanea, profondamente individualistica e schiacciata sul presente, l’idea di scelta si è molto banalizzata. Fatta scadere nella prospettiva dell’accumulo, anziché del cammino personale, si riduce a una selezione tra le possibilità disponibili nel supermarket delle esperienze: un set di opzioni predefinite da cui ‘pescare’ in base al calcolo del rapporto costi/benefici, senza vincolo per le scelte future e senza considerare i danni sociali e per l’ambiente. In definitiva, una scelta di consumo per il benessere individuale, che un algoritmo può fare meglio per noi. Ci sembra importante che il Sinodo aiuti a mettere più chiaramente in evidenza che scegliere, nel suo senso più pieno, implica invece due diversi movimenti: decidere e generare. La decisione etimologicamente implica un taglio, una discontinuità rispetto al passato: è un processo in cui si lascia una certezza passata per prendere il rischio di un cambiamento a cui si affida (senza piena sicurezza) l’impegno a un percorso che impegna positivamente verso il futuro. Un percorso che si pone una direzione, un orizzonte di senso. Non il consumare una scelta oggi, ma mettere in moto un processo che si autoalimenta con il proprio impegno a farlo crescere. La ‘vocazione’ (al matrimonio, alla genitorialità, alla vita consacrata, a farsi parte attiva di un processo di valore che dura nel tempo) è una decisione che nessun altro può fare per noi e nessun algoritmo può essere mai in grado di sostituire. Implica la consapevolezza di perdere qualcosa per accettare il rischio di aprirsi a qualcosa di più grande. Ma ha in sé, appunto, anche l’impegno attivo e continuo a renderlo un percorso concreto e fecondo.

E questo processo si traduce, positivamente, nell’impegnare se stessi, con altri, grazie ad altri e per altri, a ‘mettere al mondo’ qualcosa che non esiste ancora, a trovare soluzioni più umane e inclusive per le sfide che il presente ci pone, a raccogliere le eredità ricevute e rilanciarle; a lasciarsi ispirare dai testimoni di vita piena per immaginare vie nuove che abbiano radici nella storia comune, nei territori, nella cultura e ali per volare al di là degli steccati, dei luoghi comuni, del ‘si è fatto sempre così’ e di un quieto vivere che ormai è quieto solo per pochissimi. È questa dimensione della decisione come processo mai concluso, che si fa promessa responsabile verso il futuro che le nuove generazioni rischiano di perdere. Con il rischio che tutto venga ridotto a scelte (comprese quelle ‘vocazionali’) da prendere solo in base all’urgenza e alla disponibilità delle opzioni che già si hanno davanti, in base a ciò che oggi soddisfa di più o che consente di perdere meno di ciò che già si ha (in termini di beni e sicurezze). Tutto questo favorito anche da una società che nel complesso ha perso una visione collettiva di futuro come bene comune da costruire assieme, assegnando un ruolo centrale alle nuove generazioni.

Questo aiuta a chiarire anche il ruolo dell’educatore come ‘accompagnatore’. L’accompagnatore più e ancor prima che aiutare il giovane a prendere una decisione che cambia il suo percorso verso il futuro (a ‘sentire la chiamata’), deve aiutare a sapersi mettere in ascolto e a prepararsi a lasciare le sicurezze del passato. O, detto in altro modo, aiuta a costruire la nave e un sistema di orientamento ma poi non ne determina la rotta. Insomma, più che indicare ciò che con la decisione si diventa, e più che ‘scortarli’ per essere sicuri che i giovani non sbaglino strada, l’accompagnatore aiuta a capire l’importanza di lasciare, di rinunciare a volere tutto (che diventa alla fine non decidere niente), a non essere ossessionati dal doversi tener aperta una ‘uscita di sicurezza’ ma a essere disposti a quel movimento paradossale (che richiede fede) che è accettare di perdere la propria vita per trovarla nella sua pienezza. Solo così il giovane potrà davvero prendere ‘la’ decisione esercitando la ‘libertà per’ qualcosa di più grande. L’accompagnamento non riguarda solo i percorsi individuali, ma anche le scelte collettive che contribuiscono a cambiare la realtà circostante e umanizzare il mondo.

Quello che, in definitiva, chiedono i giovani non è di essere condotti (paternalisticamente) in una direzione predefinita, ma di essere invitati ad un (materno e paterno) cammino di reciprocità, di compagnia (cum-panis) che trasforma, rimette in movimento, rigenera tutti. Un cammino di libertà come responsabilità e contribuzione, in grado di aprire nuove vie oltre la linea d’ombra del nostro tempo e preludere a un ‘fruttificare e festeggiare’ (EG 24) di cui c’è grande bisogno e desiderio.

Articolo scritto Chiara Giaccardi e Alessandro Rosina

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