L’abbondanza di nonni da trasformare in ricchezza sociale

La presenza dei nonni, in passato rarefatta, è ora sempre più densa e pregnante. L’intera società si deve ristrutturare per trasformare in vera ricchezza sociale questa nuova abbondanza demografica.

 

Siamo entrati nell’era dell’abbondanza di nonni. Chi è oggi anziano è nato in un mondo ricco di fratelli e cugini, era quindi ampia soprattutto la dimensione orizzontale delle relazioni familiari. Nel corso di tre generazioni tale dimensione si è fortemente ridotta, mentre si sono estese e infittite le relazioni verticali. E’, infatti, notevolmente aumentata non solo la probabilità di trovare tutti i nonni in vita al momento della nascita, ma anche la possibilità di attivare un lungo e intenso rapporto con qualcuno di essi fin oltre la propria maggiore età.

La presenza dei nonni, in passato rarefatta, è ora sempre più densa e pregnante. Tale figura rappresenta una grande risorsa sia nei paesi con welfare pubblico poco sviluppato, come il nostro, sia in quelli con sistema più efficiente, come gran parte del resto d’Europa. Come varie ricerche hanno messo in evidenza, non è vero che dove maggiori sono i servizi di accudimento dei figli per i genitori che lavorano si ottiene come conseguenza una riduzione della forza della relazione tra generazioni. Avviene anzi il contrario. Dove il ricorso ai nonni è una scelta, le relazioni tendono ad essere più diversificate e appaganti, con reciproco beneficio sia per i nonni che per i nipoti. Gli studi su questo campo mostrano come le ricadute siano positive sia sul benessere emotivo che sulle competenze sociali e cognitive. Ovvero i bambini crescono meglio e gli anziani vivono più a lungo e in buona salute. Dove, invece, anziché un piacere diventa un obbligo, per la necessità di sopperire a un welfare carente, si producono ricadute negative di vario tipo. Da un lato chi non ha nonni vicini si trova in difficoltà a conciliare lavoro e famiglia, con la conseguenza di aver meno figli o ridurre la presenza femminile nel mercato del lavoro. D’altro lato, chi li ha vicini deve obbligatoriamente fare ampio ricorso al loro aiuto. L’Italia, infatti, non si contraddistingue per un più alto livello di interazione tra nonni e nipoti rispetto agli altri paesi, ma per un maggior impiego quotidiano dei primi nella cura quotidiana dei secondi mentre i genitori sono al lavoro.

Riprendendo un vecchio adagio, possiamo considerare la vita divisa in tre fasi. Nella prima si è figli e nella seconda, prevalentemente, genitori. La terza fase non è quella in cui si è cooptati nel ruolo di nonni ma quella in cui si può essere liberi, finalmente, di essere e di fare ciò che si vuole. Una parte sempre più ampia di questa stagione della vita è vissuta in buone condizioni di salute e apre grandi opportunità di valorizzazione sia sociale che economica. Le politiche e gli strumenti per valorizzarla a pieno sono però ancora largamente insufficienti. Accade allora che chi non ha nipoti si trovi a invidiare chi li ha e può passare del tempo con loro, mentre, al contrario, chi ha nipoti invidia chi non li ha per la maggior libertà d’uso del proprio tempo.

Da un lato, va quindi ridotto il rischio che l’essere nonno diventi un dovere o un mestiere anziché una opportunità. Dall’altro va promossa la possibilità che anche chi non è nonno dia un contributo di valore al processo di arricchimento della relazione tra vecchie e nuove generazioni nella comunità in cui vive. Qualche iniziativa interessante si sta sperimentando a Milano, ma è l’intera società che si deve ristrutturare per trasformare in vera ricchezza sociale questa nuova abbondanza demografica.

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