NASCITE, ULTIMA CHIAMATA

“Si può fare!”. E’ ancora possibile fare la differenza prima che la finestra di opportunità si chiuda. Se nulla dovesse cambiare rispetto alle dinamiche degli ultimi decenni, il divario tra nascite e decessi andrebbe ad allargarsi, come un’emorragia che diventa sempre più difficile tamponare.

“Si può fare!”. E’ ancora possibile fare la differenza prima che la finestra di opportunità si chiuda. Se nulla dovesse cambiare rispetto alle dinamiche degli ultimi decenni, il divario tra nascite e decessi andrebbe ad allargarsi, come un’emorragia che diventa sempre più difficile tamponare. Il rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età attiva andrebbe a indebolirsi irreversibilmente, come un edificio soggetto a progressivo indebolimento dei muri portanti che rischia il cedimento strutturale. Pensare di intervenire sugli squilibri demografici italiani solo gestendo le conseguenze, sarebbe come intervenire su un tale edificio con operazioni di restauro e risanamento conservativo senza prevedere opere di manutenzione straordinaria.

Il fatto di trovarsi in un momento in cui si deve decidere se gestire la decadenza o provare a rigenerare strutturalmente il paese, emerge in modo molto chiaro dalle previsioni Istat. Prima dell’ultima edizione, lo scenario mediano (quello preso come riferimento e considerato più plausibile) delineava un percorso di ripresa delle nascite tale da contenere squilibri insostenibili nel medio-lungo periodo. L’ultimo esercizio previsivo, invece, di fatto adotta come scenario mediano lo scenario peggiore delle edizioni scorse ed equivale alla condanna a un percorso senza possibilità di risollevarsi. Forse questo non è abbastanza chiaro all’interno del dibattito pubblico del nostro paese. E’ come se un medico ci avesse detto che – data la nostra resistenza passata a mettere in atto comportamenti più sani e virtuosi – ci troviamo ora con una malattia che rischia di cronicizzarsi definitivamente, ovvero di portare ad una condizione sempre più invalidante che compromette dinamismo, vitalità, condizioni di benessere. Gli squilibri demografici tendono, poi, ad essere strettamente interdipendenti con la questione del lavoro e a intrecciarsi con le diseguaglianze generazionali, di genere, sociali e territoriali come evidenzia il Rapporto Oxfam “Disuguitalia: ridare valore, potere e dignità al lavoro” recentemente pubblicato.

Lo scenario mediano delle edizioni previsive Istat precedenti ora è diventato lo scenario “alto” (tecnicamente il limite superiore dell’intervallo di incertezza al 90 percento), quello che si può raggiungere non semplicemente sperando che con l’azione ordinaria le cose prendano il verso giusto, ma impegnandosi a cambiare rotta con urgenza e valutando passo dopo passo se si sta andando nella direzione giusta. Per riuscirci è necessaria una inversione di tendenza della fecondità che, dalle 400 mila attuali, in dieci anni ci riporti sopra le 500 mila nascite. E’ possibile? Le esperienze passate italiane e quelle recenti di altri paesi portano a rispondere positivamente.

In circa dieci anni, tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta la fecondità italiana è crollata di oltre mezzo figlio, portandoci ai livelli peggiori al mondo. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio della Grande recessione, è aumentata in varie regioni del Nord Italia di circa mezzo figlio. Dal 2006 al 2016 la fecondità tedesca è cresciuta della stessa entità, portandosi da valori inferiori all’Italia a livelli superiori alla media europea. Nell’attuale scenario “alto” dell’Istat la fecondità nel 2032 risulta pari a 1,58, il che corrisponde ad un terzo di figlio in media in più nell’arco di dieci anni. Si può fare? Si potrebbe fare ancora meglio, ma dipende da quanto siamo convinti e determinati nel raggiungere tale obiettivo.

Le condizioni favorevoli ci sono. Serve un clima sociale favorevole. La pandemia ha creato una discontinuità che può aiutare a rimettere in discussione i limiti passati e riorientare il percorso del paese. Servono anche politiche solide e ben mirate, con risorse adeguate. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza e il Family act contengono progetti concreti che, in sinergia tra di loro, possono consentire un salto di qualità nel rapporto tra lavoro e progetti di vita. Ma nessun risultato trasformativo si può ottenere se il miglioramento di tale rapporto non diventa l’obiettivo principale su cui tutto il paese scommette e si impegna, a partire da oggi e con un processo da rafforzare anno dopo anno. E’ il messaggio arrivato in questi giorni dagli “Stati Generali sulla natalità”. Evento promosso dal Forum famiglie e che ha coinvolto non solo istituzioni ed esperti, ma soprattutto imprenditori, società civile, mondo della comunicazione. Il titolo scelto è un programma: “Si può fare!”.

Gli interventi dal palco non hanno per nulla nascosto la complessità e le difficoltà, ma hanno mostrato che esiste una consapevolezza più forte, che è quella di voler vivere in un paese in cui il desiderio che più impegna positivamente il presente verso il futuro, ovvero la scelta di avere un figlio, possa essere pienamente realizzato con successo e in relazione armoniosa con altre dimensioni della vita personale e lavorativa. Se diventa la consapevolezza del Paese intero, a tutti i suoi livelli, allora una buona possibilità ancora c’è.

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