Offrire migliori opportunità a giovani e immigrati di qualità

Per non proseguire in una direzione che va a cronicizzare la crisi demografica, con i costi sociali ed economici che ne derivano, la soluzione è solo una: rafforzare la presenza di giovani sia offrendo migliori opportunità (di lavoro e di progetti di vita) a quelli ancora presenti sul territorio e sia attraendo immigrazione di qualità.

E’ chiara la direzione verso cui sta andando la popolazione italiana secondo i dati del Censimento permanente dell’Istat. E’ una rotta che porta ogni nuovo anno ad avere meno abitanti e più anziani rispetto al precedente. Su queste tendenze incidono fattori che in parte riguardano tutto il mondo occidentale e in parte sono specifici del nostro paese. Il vivere a lungo rientra senz’altro nel primo gruppo di fattori: l’aumento degli abitanti in età più matura interessa l’Italia come il resto d’Europa. In particolare, secondo i dati Eurostat, l’Italia presenta una aspettativa di vita non maggiore di Francia, Spagna e Svezia.

L’altra grande forza che sta riplasmando l’edificio demografico europeo è il declino della natalità. Anche questa non agisce solo sull’Italia, è però vero che intensità e conseguenze risultano distintive per il nostro paese. La fragilità specifica della base della piramide demografica italiana dura da tempo ma si è ulteriormente aggravata. Nell’intera Unione europea nel 2022 la “produzione” di nascite è stata di circa 530 mila unità in meno rispetto al 2012. Nello stesso periodo l’Italia ha perso circa 141 mila nascite (scese nel 2022 a 393 mila). Questo significa che oltre un nato su quattro l’Europa l’ha perso in Italia. Siamo, quindi, il paese che in valori assoluti sta maggiormente contribuendo ad alimentare gli squilibri demografici europei, restringendo la popolazione dalla base a fronte di un continuo aumento del vertice.

Nel complesso, secondo i dati del Censimento permanente, ad inizio di quest’anno i residenti in Italia risultano scesi a meno di 59 milioni. La spinta verso il basso è determinata da un saldo naturale negativo (nascite meno decessi) di -322 mila persone, solo parzialmente compensato da un saldo migratorio con l’estero in aumento (salito a +261 mila). La scarsa capacità di alimentare il rinnovo generazionale porta il nostro paese ad essere tra quelli che vedono giovani e anziani muoversi con maggior intensità in direzione opposta, i primi in diminuzione e i secondi in aumento. A documentarlo è l’indice di vecchiaia, dato dal rapporto, per cento, dei 65enni e oltre sugli under 15. Il valore di tale indice, che aveva superato la soglia di 100 nella prima metà degli anni Novanta e quella di 150 nel 2012, secondo i dati pubblicati ieri dall’Istat è arrivato a quota 193 nel 2022. Siamo quindi in prossimità del raddoppio degli anziani rispetto ai più giovani.

Se consideriamo una cosa positiva il vivere bene e a lungo, dobbiamo dare per acquisita la crescita della componente anziana. Viceversa, la riduzione drastica dei giovani, conseguenza di una fecondità molto sotto il livello di equilibrio tra generazioni, non è legata ad alcun vantaggio. A preoccupare tutta l’Europa, in coerenza con ciò, non è tanto la diminuzione della popolazione in sé, ma l’indebolimento quantitativo che le nuove generazioni portano nella forza lavoro. A rischiare di più sono i territori più fragili e meno attrattivi verso i giovani, sia nel confronto tra paesi europei sia all’interno della penisola. I dati del Censimento confermano che il decremento è in larga parte concentrato nel Sud Italia e nei centri con meno di 5 mila abitanti (che sono oltre i due terzi dei Comuni italiani).

Per non proseguire in una direzione che va a cronicizzare la crisi demografica, con i costi sociali ed economici che ne derivano, la soluzione è solo una: rafforzare la presenza di giovani sia offrendo migliori opportunità (di lavoro e di progetti di vita) a quelli ancora presenti sul territorio e sia attraendo immigrazione di qualità. I contesti che meno riusciranno a farlo si troveranno con una rotta verso il futuro che si allontana sempre più dalla valorizzazione delle potenzialità e diventa sempre più condizionata dai vincoli posti dagli squilibri demografici.

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