Riannodare demografia e sviluppo

Oltre alle condizioni materiali – che frenano soprattutto il fare famiglia dei giovani – sulla decisione di avere un figlio pesa il contesto sociale in cui si vive e il clima di fiducia verso il futuro. Nello sbloccare scelte responsabilizzanti verso il domani più che le difficoltà dell’oggi conta il sentirsi inseriti in una comunità che cresce e all’interno della quale l’impegno verso il futuro è incoraggiato e sostenuto.

L’Italia è un paese in affanno, prostrato dalla crisi, con troppi freni che ne imbrigliano le energie e ne comprimono la vitalità. Uno dei riscontri più evidenti di questa depressione economica e sociale è offerto dall’andamento delle nascite. A metà degli anni Sessanta nascevano un milione di bambini, oggi con fatica arriviamo a farne la metà. Dopo il record negativo di 503 mila nascite nel 2014, immigrati compresi, i dati non definitivi del 2015 sembrano ancora peggiori. Anche Milano evidenzia un andamento delle nascite che dopo un picco di oltre 12 mila e 500 raggiunto negli anni precedenti la crisi scende attorno alle 11 mila e 500. Quest’ultimo dato, a differenza della situazione nazionale, non è però un record negativo, risultando comunque di circa 2 mila unità superiore rispetto ai valori di metà anni Novanta. Questa differenza tra andamento nazionale e cittadino la si vede anche nella composizione per età della popolazione. Mentre nella popolazione italiana la consistenza demografica di chi ha meno di 5 anni è più bassa rispetto a qualsiasi altra fascia di età dai 70 in giù, viceversa, tra i residenti a Milano, il peso più ridotto corrisponde a chi ha oggi tra i 15 e i 20 anni.

La maggior tenuta rispetto alla crisi risulta ancora più evidente passando dai valori assoluti sulle nascite ad indicatori più raffinati sulla fecondità forniti in modo dettagliato e aggiornato sul recente portale “SiSI – Sistema statistico integrato” del Comune. Il tasso di fecondità totale, ovvero il numero medio di figli per donna, era ancora attorno a 1,45 in Italia prima degli effetti della recessione ed è poi sceso fino a 1,37 nel 2014. Il corrispondente dato milanese, da sempre sotto la media nazionale, risulta invece salire nel 2014 rispetto agli anni precedenti, tanto da arrivare a convergere esattamente con l’1,37 italiano. Un risultato non disprezzabile, soprattutto se si considera che la fecondità delle donne straniere è scesa da oltre 2,1 figli prima della crisi a meno di 1,8 e che l’età media alla maternità delle milanesi – pari circa a 33,5 – è più tardiva di due anni rispetto alla media nazionale.

Milano, anche dal punto di vista demografico, sembra quindi aver subito l’impatto della recessione in modo meno drammatico rispetto al resto del Paese. Oltre alle condizioni materiali – che frenano soprattutto il fare famiglia dei giovani – sulla decisione di avere un figlio pesa il contesto sociale in cui si vive e il clima di fiducia verso il futuro. La situazione economico-strutturale e la formazione di aspettative positive non sono fattori indipendenti, ma nello sbloccare scelte responsabilizzanti verso il domani più che le difficoltà dell’oggi conta il sentirsi inseriti in una comunità che cresce e all’interno della quale l’impegno verso il futuro è incoraggiato e sostenuto. Per mettere in circuito virtuoso demografia e sviluppo è allora necessario convertire da individuale a collettiva la sfida a migliorarsi continuamente connaturata nei milanesi e convertire da interesse di parte a bene comune l’impegno della politica.

Se dovessi condensare in una sola frase il programma che dovrebbe darsi il nuovo sindaco, proporrei la seguente: rendere la città un terreno fertile in cui far germogliare assieme idee che producono sviluppo economico e scelte di vita che generano valore sociale. Dopodiché, va bene anche riaprire i navigli e tutto il resto.

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