Un piano decennale per salvare i 30enni italiani dall’irrilevanza

Se sulla demografia italiana attesa alla fine degli anni Venti proiettiamo l’Italia con le condizioni sociali ed economiche di oggi, otteniamo uno scenario che condanna alla definitiva marginalizzazione rispetto ai percorsi di crescita europea e mondiale.

Nel mezzo del cammin di questo secolo l’Italia si potrebbe trovare in una selva oscura se la diritta via verrà smarrita. Preoccupanti evidenze del fatto che la via non sia diritta le abbiamo già. Anche imboccando la via che porta allo scenario Istat più favorevole (in termini di ipotesi su natalità e flussi migratori), entro il 2050 avremo un aumento di oltre 5 milioni di over 65 e una riduzione di circa 4 milioni di persone in età lavorativa. L’impatto più rilevante verrà però subìto in questa decade.  E’ infatti in pieno corso il passaggio di testimone, al centro della vita attiva del paese, tra le demograficamente ricche generazioni nate nei primi trent’anni del secondo dopoguerra e le demograficamente povere generazioni nate dalla metà degli anni Ottanta in poi.

Le analisi del report “Un buco nero nella forza lavoro italiana” del Laboratorio futuro dell’Istituto Toniolo forniscono chiara evidenza di essere entrati in questo decennio in una fase in cui la crescita, oltre che frenata dal peso degli squilibri accumulati (invecchiamento della popolazione e debito pubblico), rischia di trovare anche meno spinta dalle classi centrali lavorative. Il nucleo della forza produttiva (quello attorno ai 40 anni) andrà ad indebolirsi in Italia come mai in passato e più che negli altri grandi paesi europei.

In particolare, nel complesso dell’Unione i 30-34enni sono circa il 7% in meno rispetto agli attuali 40-44enni, la perdita nel passaggio tra la prima e la seconda fascia di età è invece attorno al 30% nel nostro Paese. La Germania ha subìto nel decennio passato una riduzione simile a quella che sta vivendo il nostro paese, ma ha compensato con un aumento del tasso di occupazione e incentivando la ripresa delle nascite (azioni ancor più rilevanti perché avvenute durante la crisi economica).

Se sulla demografia italiana attesa alla fine degli anni Venti proiettiamo l’Italia con le condizioni sociali ed economiche di oggi, otteniamo uno scenario che condanna alla definitiva marginalizzazione rispetto ai percorsi di crescita europea e mondiale. Avremo sempre meno giovani e sarà sempre più difficile investire sulla loro formazione avanzata e sull’allargamento delle opportunità di valorizzazione del loro capitale umano. Quelli più dinamici e preparati contribuiranno ad alimentare il motore dello sviluppo e dell’innovazione, ma tale motore sarà sempre più collocato oltre i nostri confini.

Per scongiurare questo quadro serve urgentemente un piano strategico del Paese da realizzare nel corso di questi dieci anni che consenta all’attuale generazione dei trentenni – quella che sta per raggiungere la prima linea del fronte su cui si combatte per la crescita competitiva – di compensare la propria debolezza quantitativa con un forte potenziamento qualitativo (in termini di adeguato inserimento nel mondo del lavoro e piena valorizzazione nel sistema produttivo). Nel frattempo va rafforzata la formazione delle generazioni precedenti, che all’affacciarsi al mondo del lavoro potranno poi favorire dei risultati di tale piano.

Per farsi un’idea della situazione in cui ci troviamo, rispetto a tale sfida e all’inadeguatezza di quanto sinora messo in campo, basti pensare a quanti giovani in Italia arrivano a trent’anni senza basi solide del proprio percorso professionale e, conseguentemente, dei propri progetti di vita. Nella fascia tra i 30 e i 34 anni sono il 29% coloro che non stanno partecipando a nessun percorso formativo e non hanno una occupazione, contro il 17% in Europa.

Uno dei pilastri dell’infrastruttura del piano non possono che essere le politiche attive e in particolare un sistema davvero efficiente di servizi per l’impiego. Tutte le riforme tra la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale, compreso il Jobs act, fino anche al Reddito di cittadinanza, hanno sempre lasciato in secondo piano questo nodo cruciale. Su questo fronte il report dell’Istituto Toniolo delinea due possibili scenari nei prossimi dieci anni. In quello negativo, un gran numero degli attuali trentenni inattivi si troverà, appunto, nel mezzo di una selva oscura: inclusi poco e male nel mondo del lavoro e senza più l’età per poter contare sull’aiuto dei genitori. Lo Stato cercherà di offrire una qualche assistenza per evitare che diventi una bomba sociale, ma con sempre meno risorse pubbliche per poterla finanziare. Lo scenario positivo passa, invece, attraverso la capacità di accompagnare – con strumenti efficaci e avanzati – la maggioranza di tali trentenni in un percorso virtuoso di reskilling, upskilling, ricerca attiva di lavoro e crescita professionale affiancata da formazione continua.

Per favorire quest’ultimo scenario serve però un piano serio e credibile (ben altro rispetto a volenterosi navigator) con obiettivi chiari di breve e medio periodo, misurabili e monitorati, in grado di aumentare ogni anno la propria efficacia autoapprendendo cosa funziona degli strumenti avviati. Un piano che sposti in attacco una generazione da troppo tempo tenuta in difesa o in panchina.

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