Un piano per riportare i giovani al centro del processo di sviluppo

Le nuove generazioni italiani appaiono, così, come un esercito mandato in ordine sparso e strumenti inadeguati a sfidare i grandi cambiamenti del proprio tempo.

I giovani hanno bisogno di riferimenti solidi, ancor più quando tutto attorno è incerto e muta rapidamente. Purtroppo, invece, tutto quello che li riguarda tende in Italia ad essere carente od occasionale, vale per le politiche pubbliche nei loro confronti ma anche per le informazioni disponibili e la lettura della loro condizione. Di fatto l’unico riferimento stabile è quello della famiglia di origine, che, però, in combinazione con la debolezza di tutto il resto, tende ad accentuare le diseguaglianze sociali. Le nuove generazioni italiani appaiono, così, come un esercito mandato in ordine sparso e strumenti inadeguati a sfidare i grandi cambiamenti del proprio tempo.

Nell’introduzione alla prima edizione del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, pubblicata con il Mulino nel 2013, si affermava in modo netto che “se le nuove generazioni non riescono a trovare un lavoro e a formare una propria famiglia con figli, il problema non riguarda solo loro, è il paese stesso che mina strutturalmente le basi del proprio futuro. Nel dibattito pubblico è sempre presente il tema generazionale, ma poco si fa poi in concreto per dare vere risposte”. La nuova edizione di tale Rapporto, da oggi in libreria, parte da un bilancio del decennio appena lasciato alle spalle in cui si prende atto che il nostro Paese continua persistentemente a presentare valori più bassi rispetto alla media europea su voci strategiche di investimento collettivo sui giovani, a partire dalla formazione, passando per l’ingresso solido nel mondo del lavoro, fino al sostegno all’autonomia abitativa e alla realizzazione dei propri progetti di vita. Si sottolinea come continui a mancare un progetto coerente di sviluppo del Paese all’interno del quale consentire ai giovani di essere ben orientati nelle scelte formative, di essere dotati di competenze solide (avanzate e trasversali), di poter contare su strumenti efficaci per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, di ottenere piena valorizzazione all’interno delle organizzazioni e delle aziende.

Si è certo assistito negli anni scorsi a varie misure di rilievo – come l’Alternanza scuola-lavoro, Garanzia giovani, lo stesso Reddito di cittadinanza – ma realizzate senza un piano ampio nel quale ciascuna iniziativa si inserisse per contribuire a comporre un disegno organico unico, con obiettivi chiari ben definiti da realizzare in modo integrato. Con esiti finali poco efficaci e soddisfacenti se misurati in termini di rafforzamento ottenuto della presenza qualificata dei giovani all’interno del sistema produttivo italiano (o, meglio, dei processi che generano, quantitativamente e qualitativamente, nuovo benessere nel Paese).

Il “Rapporto giovani 2020” mette in evidenza, inoltre, come lavoro, partecipazione sociale e consumo siano ambiti sui quali la forte attenzione nella dimensione quantitativa debba essere integrata con la consapevolezza di un profondo mutamento qualitativo che trova accelerazione nello scenario post Covid-19. In tale mutamento entrano in gioco grandi trasformazioni rispetto alle modalità di produzione, fruizione, partecipazione e condivisione, ma anche nuove sensibilità e preferenze (come alcuni temi etico-sociali, un senso più ampio di benessere, la sensibilità verso la salute e l’ambiente).

Uno dei temi trattati nel Rapporto è quello della consapevolezza dei giovani rispetto ai cambiamenti del mondo del lavoro sotto l’influsso dell’innovazione tecnologica, con particolare attenzione alle competenze e ai modelli organizzativi. Un quadro in grande evoluzione, entro il quale essi si trovano ad operare le proprie scelte formative e professionali. I dati evidenziano una buona conoscenza delle professioni del futuro ma una difficoltà a sentirsi in sintonia con esse e a immaginarle adatte per se stessi, soprattutto per chi ha titolo di studio più basso. Questo pone una questione sia di formazione che di riqualificazione per una componente rilevante di ragazzi che rischiano altrimenti di rassegnarsi a rimanere esclusi rispetto alle nuove opportunità e rassegnarsi a leggere il cambiamento solo in termini di rischi. Questo si unisce anche al fatto che sono soprattutto i giovani con istruzione più elevata ad esporsi maggiormente a esperienze formative informali (sevizio civile, esperienze all’estero, ecc.), utili per rafforzare preziose competenze trasversali che completano e si integrano con quelle avanzate.

Non mancano, quindi, segnali positivi di riconoscimento delle nuove opportunità aperte dal mondo che cambia e dalla rivoluzione digitale, con rischio però che si accentui una polarizzazione sociale e territoriale che ha come principali estremi le grandi aree urbane centro-settentrionali e le aree periferiche del Sud. Una polarizzazione che intreccia varie dimensioni (economica, sociale, demografica, elettorale) e che rischia di essere accentuata dall’impatto dell’emergenza sanitaria.

Sempre i dati del Rapporto mostrano come i giovani italiani non sono partano da livelli pre-pandemia di occupazione più bassa, ma sono tra quelli in Europa che ora più temono l’impatto negativo dell’emergenza sanitaria. Oltre la metà degli intervistati temere contraccolpi negativi sul proprio lavoro. Tra gli under 35 in condizione di NEET oltre il 40 percento dice di aver posticipato dopo il lockdown la ricerca di lavoro e circa un terzo di averla abbandonata.

Se i giovani presentavano una forte difficoltà a immaginare un futuro positivo, il nuovo scenario aggiunge quindi un ulteriore strato di incertezza, che può scendere in profondità e diventare insicurezza se non gestita nel modo adeguato. Siamo di fronte ad uno scenario nuovo, che ha bisogno di essere osservato, analizzato e interpretato in modo solido e adeguato per accompagnare il Paese verso una piena e rapida ripartenza, riconoscendo rischi e fragilità, ma cogliendo anche opportunità che possono aprirsi come discontinuità nel riorientare scelte individuali e collettive. Nell’Italia post Covid sono soprattutto le nuove generazione ad essere chiamate a riprogettare le proprie vite per dare spinta e direzione ad un nuovo percorso di crescita comune.

Poco prima dello scoppio dell’emergenza causata dalla pandemia scrivevamo in questo pagine che serviva un piano serio e credibile di riposizionamento delle nuove generazioni al centro dei processi di sviluppo del paese, con obiettivi chiari di breve e medio periodo, misurabili e monitorati. Oggi questo è drammaticamente ancor più vero e urgente.

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