Rimettiamo i giovani nei nostri radar o rischiamo una generazione fantasma

Gli attuali under 25 appartengono alla Generazione Zeta. E’ la prima generazione a non aver memoria del XX secolo e a sentirsi del tutto appartenente a quello attuale. Ora però si è aggiunto un altro aspetto che la caratterizza in modo distintivo, ovvero essere la prima a costruire il proprio percorso lavorativo e di entrata nella vita adulta dopo la discontinuità prodotta dalla pandemia di Covid-19.

Elezioni politiche del 25 settembre: le proposte per i giovani

Adottando una accezione molto ampia, potremmo dire che tutte le proposte di un programma elettorale riguardano le nuove generazioni, nella loro condizione attuale e in quella futura di adulti e anziani. Restringendo, potremmo occuparci delle proposte che hanno, direttamente o indirettamente, ricadute sulla condizione degli attuali giovani. Qui, anche per lo spazio limitato disponibile, ci limitiamo alle misure per i giovani in quanto giovani ed espressamente rivolte ai giovani. Ovvero quello che partiti e movimenti (i principali secondo i sondaggi disponibili) hanno messo in capitoli dei loro programmi esplicitamente dedicati a questa componente della popolazione (indicativamente dai 15 ai 35 anni). Questo consente anche di capire cosa la politica intende per azioni a favore delle nuove generazioni.

Un piano inclinato che penalizza i progetti di vita dei giovani

Supponiamo che l’Italia sia un centometrista finora riuscito a mantenere un livello di competitività comparabile con gli altri atleti di punta. Cosa succederebbe, però, se la sua corsia cominciasse ad avere un dislivello maggiore rispetto alle altre e crescente nel tempo? Fuor di metafora, l’Italia dovrà riuscire a generare sviluppo economico, innovazione, benessere sociale, non solo con una popolazione anziana in continuo aumento, ma soprattutto con un indebolimento inedito e accentuato della popolazione in età attiva.

L’Italia è, da tempo, diventata un caso di studio in tutto il mondo per la sua persistente bassa natalità e per gli squilibri generazionali conseguenti. Correva l’anno 2005 quando The Economist, in un ampio servizio dal titolo “Addio, Dolce Vita” scriveva che “Italy’s demographics look terrible”. Veniva sottolineato come con una media di 1,3 figli per donna il Belpaese stesse andando incontro a conseguenze devastanti sulla crescita economica e la sostenibilità sociale.