Posts By: Alessandro Rosina

Dai giovani più fiducia nelle imprese che nella politica

L’azione del governo appare più orientata alla difesa e al “contro”.
Azione contro l’immigrazione, contro i privilegi della casta, contro le aziende che assumono ricorrendo troppo a contratti flessibili. Azione che risponde al timore di non perdere quanto sinora acquisito, di dare sicurezza, in coerenza con i sentimenti dell’elettorato di Lega e M5S, ma con il rischio di un ulteriore schiacciamento sul presente.
Si fa fatica a intravedere invece un’azione che aumenti le prospettive di lavoro all’interno di un solido progetto di sviluppo del Paese e di incoraggiamento alle energie positive ad aprirsi verso il futuro.
Questo trova riscontro nell’atteggiamento delle nuove generazioni, che rimangono con livelli bassi di fiducia nelle istituzioni e nello stesso nuovo governo, in attesa di vedere un’azione più concreta e convincente di miglioramento delle proprie condizioni.
Più fiducia offrono invece alle aziende, al volontariato e alla ricerca scientifica. Ovvero in contesti in cui possono diventare protagonisti per la crescita sociale ed economica del Paese.
I dati raccolti dal “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo dal 2 al 13 luglio 2018 su un campione di oltre 2mila giovani tra i 20 e i 34 anni, mostrano come chi assegna voto positivo al governo sia poco più di un giovane su tre. Sotto tale percentuale si collocano i partiti, le banche e i sindacati, ma anche i social network (che appaiono screditati da oltre due giovani su tre).
Scuola e forze dell’ordine continuano a essere considerati due punti di riferimento solidi da circa il 60% dei rispondenti. Ma piccole imprese, volontariato si collocano su livelli simili, con la ricerca scientifica che si posiziona sopra a tutto il resto.
Per converso può preoccupare che un 30% dei giovani non esprima fiducia quasi in nulla. Una sfiducia spesso legata a una condizione senza prospettive che poi diventa corrosiva in ogni dimensione della vita e della partecipazione sociale.
In positivo c’è il fatto che, nonostante le condizioni in cui si trovano i giovani italiani (si pensi al record di Neet in Europa, all’incertezza occupazionale e alle basse retribuzioni), la grande maggioranza degli intervistati guardi con fiducia alla scuola, all’impegno sociale nel volontariato, all’intraprendenza delle piccole e medie imprese, alla ricerca scientifica e all’innovazione. Ovvero nei contesti in cui si è messi nelle condizioni di imparare e fare (l’opposto della condizione di Neet in cui troppi continuano a essere intrappolati).
Rimane il punto debole del ruolo della politica e delle istituzioni. Dato confermato dal fatto che circa il 60% degli intervistati non ha visto sinora un’azione pubblica impegnata nel migliorare le condizioni delle nuove generazioni e la considera poco attenta a offrire spazi e opportunità per favorire il loro inserimento attivo nei processi di crescita sociale ed economica del Paese. Il fatto che a malapena il 10% dei giovani assegni un voto superiore o uguale a 8 al ruolo del governo e delle istituzioni su questi punti evidenzia che anche molti di coloro che hanno votato per Lega e M5S siano ancora in attesa di vedere azioni concrete che vadano oltre all’offrire difesa dai rischi di peggioramento delle condizioni presenti, per mettere le basi di un processo che immetta le nuove generazioni solidamente nei processi di costruzione di un futuro migliore.

L’ARTICOLO SUL SOLE 24 ORE

Poco lavoro e tanti sogni. Così i giovani di 18 anni si vedono a 45 anni

Mettere le nuove generazioni nelle condizioni di realizzare con successo la transizione alla vita adulta è il compito principale per un Paese che si prende cura del proprio futuro. Questo è ancor più importante oggi per la maggiore complessità e incertezza che pesa sulle scelte formative, occupazionali e familiari. In carenza di sistemi esperti efficienti di orientamento e supporto negli snodi del percorso di vita e professionale, troppi giovani rischiano di perdersi e di portare nella vita adulta delusioni e frustrazioni anziché energie e competenze per realizzarsi e far crescere il paese.

L’Italia non è un Paese per giovani imprenditori: il problema delle competenze

La Scuola italiana fatica a formare in modo solido e diffuso le competenze che servirebbero al Paese per fare quel salto tecnologico necessario a diventare più competitivo e ad aumentare la qualità del contributo del capitale umano delle nuove generazioni alla crescita. Qui compresi i giovani imprenditori delle startup. I potenziali startupper quindi rischiano di ricadere in altre due categorie: i delusi e arresi Neet (Not in education, employment or training) o quelli che cercano altrove fortuna: gli Expat.

Non basta uno spot per risollevare le nascite

L’obiettivo di uno spot è richiamare attenzione e interesse per incrementare le vendite rispetto ai concorrenti. Da questo punto di vista lo spot della Chicco, che invita a far vincere il paese facendo un figlio, ha colto nel segno. Ovvero chi già progettava di allargare la famiglia tenderà ora a guardare con maggior simpatia i prodotti Chicco. Controverso è invece l’impatto sull’incremento effettivo delle nascite. Quello che mostra anche l’esperienza di altri paesi, come lo spot di qualche anno fa in Danimarca, è che il registro dell’ironia e della leggerezza funziona.

Non è però la stessa cosa se il messaggio arriva da un’azienda interessata a far profitto anziché da un’istituzione pubblica. Ci sono anche altri aspetti rilevanti. In Italia, come molte ricerche confermano, il desiderio di avere figli non manca, quello che va allineato al rialzo sono le politiche familiari, sul versante sia economico che dei servizi. In Danimarca il sistema di welfare è invece tra i più avanzati e aumentare ulteriormente la fecondità, già maggiore della media europea, richiede un a spinta sui desideri riproduttivi. Discutibile è anche l’invito a “farlo per la patria”. La scelta di un figlio tocca motivazioni più profonde che vanno ben oltre l’utilitarismo individuale o collettivo. Per aumentare le nascite l’esempio da seguire è la Germania che partiva da livelli di fecondità più bassi dei nostri e in dieci anni è salita da una media di 1,38 a 1,6 figli (mentre noi siamo scesi da 1,45 a 1,34). Un risultato non ottenuto con uno spot ma attraverso un’ampia azione di effettivo rafforzamento delle misure a sostegno dei progetti familiari.

Via l’ipoteca dal futuro delle nuove generazioni

Che futuro ha un Paese che rivede ogni anno al ribasso la sua natalità (come riportano i dati Istat)? Che, rispetto agli altri Paesi avanzati, espone i minori che vivono in famiglie numerose a uno dei rischi più alti di povertà materiale ed educativa (come ci ricorda Save the Children)? Che meno riesce a dotare le nuove generazioni di formazione e competenze adeguate per vincere le sfide di questo secolo (come rivelano le ricerche Ocse)? Che con più difficoltà include i giovani nel mondo del lavoro (come indicano le statistiche dell’Eurostat)? Che relega maggiormente i nuovi entranti in lavori a bassa tutela e basso salario (come confermano gli studi di Bankitalia)? Fare in modo che i progetti di vita delle nuove generazioni siano solidi e trovino pieno successo nella loro realizzazione dovrebbe essere una delle preoccupazioni principali di un Paese interessato a mettere basi solide per il proprio futuro.