Topic: giovani

I giovani dalla panchina all’attacco

Per tornare a crescere non basta uscire dalla recessione, è necessario avviare un modello di sviluppo in grado di trasformare le nuove generazioni in energia creativa e produttori di benessere del paese. La fine della crisi non è una soluzione per almeno due motivi. In primo luogo, già prima di entrare nella congiuntura negativa il tasso di Neet (gli under 30 disoccupati e inattivi) era tra i più alti in Europa.

In secondo luogo, se non si agisce con misure adeguate, il ritorno ai livelli pre-crisi sarà molto lento con l’esito di lasciare segni permanenti su un’intera generazione che rischia di ritrovarsi adulta senza aver messo le basi per solidi progetti di vita. Uno scenario che avrebbe implicazioni devastanti per la sostenibilità sociale del paese oltre che per la sua crescita economica e la sua competitività sullo scenario mondiale.

Il successo di Expo e i limiti degli economisti

Il successo di Expo possiamo paragonarlo alla conquista italiana del K2 nel 1954. Anche quella fu un’impresa attorno alla quale si sollevarono perplessità e polemiche. L’Italia viveva un difficile contesto economico con ampie fasce della popolazione in condizione di povertà e flussi crescenti di emigrazione verso l’estero. Molti si chiesero se davvero valeva la pena investire risorse ed energie in una operazione simile. L’organizzazione e la realizzazione della spedizione furono poi caratterizzate da personalismi, conflitti, scelte discutibili, persino verità nascoste. Eppure rappresentò una grande iniezione di fiducia per un paese che voleva dimostrare prima di tutto a se stesso, dopo sconfitte ed umiliazioni, di essere in grado di compiere grandi imprese. Fu anche un’operazione di immagine verso il resto del mondo, volta ad indicare che l’Italia quando si pone degli obiettivi ambiziosi ha tutti i numeri per realizzarli.

Come favorire la transizione scuola-lavoro

Capita spesso di leggere sui giornali o sentire nei dibattiti televisivi che il lavoro se uno lo cerca bene e si adatta lo trova. Se quindi molti giovani sono disoccupati è soprattutto colpa loro che non si rimboccano le maniche quanto serve. Come spesso accade la realtà è un po’ più complessa rispetto agli stereotipi di cui è piena l’opinione pubblica. Sono vari i motivi della presenza di opportunità di lavoro che faticano a trovare manodopera adeguata in un contesto di alta disoccupazione giovanile. Ne elenchiamo quattro, ben intrecciati tra di loro. Il primo è legato al fatto che molte aziende non utilizzano modalità e contenuti adeguati nel pubblicizzare l’offerta rispetto al target specifico di interesse. Il secondo è da ricondurre alla carenza di solidi canali istituzionali di incontro tra domanda e offerta, tanto che la larga maggioranza delle persone continua a trovare lavoro attraverso la rete parentale e amicale. Il terzo fattore è di tipo culturale.

Neet ed Expat: i giovani che stiamo perdendo

E’ difficile fare politiche mirate ed efficaci se mancano dati basilari sulla realtà su cui si vuole intervenire. Un chiaro esempio riguarda la condizione dei giovani. Ne abbiamo sempre di meno e ne perdiamo sempre di più, nel senso che proprio non sappiamo dove sono e cosa fanno. Ci riferiamo in particolare a due categorie in forte crescita di under 35, identificate con termini non utilizzati nelle generazioni precedenti a testimonianza delle specificità che le caratterizzano. Si tratta dei Neet e gli Expat. In entrambi i casi sappiamo che non sono più a scuola e non sono nemmeno all’interno del mondo del lavoro italiano. Sono altrove, finiti fuori dal radar del sistema paese.

La metropoli sempre più attrattiva per gli studenti

Quando ci si avvicina alle elezioni amministrative l’attenzione verso i giovani inizia a crescere. Le nuove generazioni sanno però distinguere chi cerca opportunisticamente il loro voto e chi genuinamente si rivolge a loro. Non a caso sono molto diffidenti rispetto alla politica e molto in sintonia con papa Francesco. La distinzione tra attenzione sincera e quella strumentale ha una componente sia emotiva che oggettiva. Conta il linguaggio, la capacità di toccare le corde giuste, ma anche quello che in concreto si fa, non solo “per” ma “con” loro.