Dal fallimento delle startup la chiave della crescita

Non basta che sempre più giovani siano incentivati a provarci. Devono anche migliorare tutte le condizioni attorno perché si inneschi un circuito virtuoso tra innovazione, occupazione di qualità e solida crescita in un mondo sempre più competitivo. Più ancora, allora, che dai casi di successo si può imparare da quelli di insuccesso.

L’Italia deve ripartire dopo un periodo di bassa crescita interrotto da una prostrante crisi ormai quasi alle spalle. Ma da dove e come ripartire?  Tra le poche e confuse idee che circolano sulla risposta da dare, le convinzioni più forti indicano come fattore di traino per il rilancio le aree economicamente più dinamiche e le nuove generazioni. Sul come fare le idee sono ancora meno chiare ma si sta imponendo sempre di più la tesi che la punta avanzata della soluzione per far ripartire l’Italia attraverso i giovani siano le start-up. Il paese che ha il record di Neet e di Expat che non ritornano, ritrova ottimismo quando restringe lo sguardo su quelle parti del territorio in cui una quota molto ristretta di giovani riesce a far diventare un’idea innovativa una impresa di successo. Teniamo però presente che di giovani noi ne abbiamo meno degli altri paesi. Consideriamo poi che la percentuale di laureati tra i giovani è più bassa in Italia rispetto al resto del mondo avanzato. Aggiungiamo, infine, che i ragazzi con idee innovative sono una piccolo sottoinsieme e che solo una idea su dieci sopravvive e una su cento raggiunge davvero il successo.

Proprio in questi giorni si è tenuto a Milano StratupItalia! Open Summit con la premiazione delle migliori startup italiane del 2015. Iniziative di questo tipo offrono molta visibilità ai progetti innovativi e aiutano ad aggregare attorno a questo mondo energie ed intelligenze. Dobbiamo però anche stare attenti al rischio che il fenomeno cresca quantitativamente senza che nel complesso migliorino le condizioni delle nuove generazioni. Non basta che sempre più giovani siano incentivati a provarci. Devono anche migliorare tutte le condizioni attorno perché si inneschi un circuito virtuoso tra innovazione, occupazione di qualità e solida crescita in un mondo sempre più competitivo. Più ancora, allora, che dai casi di successo si può imparare da quelli di insuccesso. Potrebbero dirci molto di quanta strada dobbiamo ancora fare per dare vero ed effettivo supporto alla crescente propensione all’intraprendenza delle nuove generazioni. Non c’è solo la carenza di finanziamenti e l’eccesso di burocrazia, ma anche un deficit di formazione e bassi investimenti in ricerca e sviluppo, a rendere più difficile e frustrante l’esperienza del giovane potenziale startupper italiano. Come stiamo aiutando i ragazzi che falliscono a rendere una esperienza utile per il loro percorso futuro l’averci provato? Costoro sono molti di quelli che osanniamo sui giornali e nei convegni patinati. E’ con loro che la vera sfida si vince. Si può altrimenti rischiare di creare un mondo elitario e autoreferenziale, con molta determinazione ed entusiasmo al proprio interno, ma sostanzialmente slegato da tutto il resto.

Se l’obiettivo non è solo il successo di qualche centinaio o migliaio di giovani selezionati, ma la crescita vera dell’Italia attraverso le nuove generazioni, non dobbiamo partire dalle startup ma considerarle parte di un progetto più ampio di rafforzamento del raccordo tra capacità e competenze dei giovani e opportunità di valorizzazione nel mondo del lavoro. Le singole esperienze di eccellenza non sono mai mancate sul nostro territorio. Ma, anche nel caso dei giovani, concentrarsi solo su quelle non ci aiuterà a fare il vero salto di qualità sistemico che da troppo tempo continuano a mancare.

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