
In una prima fase – sostanzialmente fino alle generazioni nate a metà degli anni Cinquanta – la riduzione delle nascite è avvenuta attraverso una convergenza verso i due figli per coppia: valore attorno a cui si è consolidato il modello di riferimento nelle preferenze di coppia e che sostanzialmente corrisponde all’equilibrio nel rapporto tra generazioni nei paesi con bassa mortalità. In una seconda fase – a partire soprattutto dalle generazioni entrate nella vita adulta dalla metà degli anni Settanta in poi – si riscontra un processo di rinvio e riduzione delle nascite molto più accentuato rispetto al resto d’Europa. La Svezia, ad esempio, ha anticipato i cambiamenti nella formazione delle unioni di coppia e nelle opportunità di occupazione femminile, ma ha continuato a mantenere – grazie allo sviluppo di adeguate politiche di sopporto all’autonomia giovanile e alla conciliazione tra famiglie e lavoro – un numero di figli per coppia vicino a 2 anche per le generazioni nate negli ultimi decenni del XX secolo e diventate adulte nel XXI secolo. Mentre le stesse generazioni italiane sono scese sotto la media di 1,5 figli.
Tutto questo nonostante il numero ideale di figli, per la grande maggioranza delle persone, sia rimasto attorno a due. Come evidenza il rapporto “Cambiare Paese o cambiare il Paese. Dossier 2025: dai numeri alla realtà”, realizzato dalla Fondazione per la Natalità con l’Istat, circa il 70% dei giovani tra 11 e 19 anni dichiara di volere figli e tra questi l’80% ne desidera due o più.
Questi dati ci dicono che il crollo della natalità italiana è maggiore rispetto ad altri paesi con cui ci confrontiamo, ma anche rispetto ai progetti e ai desideri dei giovani italiani.
Quello che allora manca maggiormente in Italia è il valore che le nuove generazioni possono generare quando sono messe nelle condizioni di dare il meglio di sé.
Desiderano avere figli? Desiderano lavorare? Desiderano contribuire al bene comune in ambito sociale e politico? La risposta è sì, non meno rispetto a quanto realizzano su ognuno di questi ambiti i coetanei europei. Questo non significa che sia facile invertire la tendenza, ma è possibile. Serve però l’impegno concreto a diventare una società in grado di aiutare e incoraggiare i giovani a generare valore con le loro scelte, anziché trovarsi a doverle rinviare continuamente o andare a realizzarle altrove.