Far vincere l’innovazione che include

Un buon afflusso ai seggi e solide preferenze ai candidati più sensibili e attenti ai processi che fanno stare coerentemente e con successo Milano nel mondo, potranno essere di grande aiuto.

Finalmente siamo arrivati alla fine di una campagna elettorale che ha avuto spunti interessanti ma non ha entusiasmato. I due principali candidati sono stati percepiti come molto simili. I temi toccati non hanno saputo suscitare forte interesse. Non si sono create le condizioni per mobilitare una diffusa e vivace partecipazione dal basso. Il quadro politico era, in ogni caso, molto diverso rispetto a cinque anni fa. Allora al governo nazionale c’era Silvio Berlusconi e il paese viveva una fase di grande incertezza nel bel mezzo di una crisi economica e di fiducia. Un clima che aiutò il centrosinistra ad accendersi sul voto, contro un centrodestra opaco. In queste amministrative, invece, una parte dell’elettorato di sinistra si trova in difficoltà a votare un Sala pro Renzi con la stessa convinzione con cui votò un Pisapia contro Berlusconi. Il voto dell’insoddisfazione, come ben noto, mobilita molto più rispetto alla conferma.


Il livello del dibattito della campagna elettorale è ben rappresentato da uno degli slogan di Parisi: “Corro perché dobbiamo liberare Milano dal degrado in molti quartieri e zone in cui i milanesi vivono e lavorano, non sempre nelle condizioni ottimali”. Una frase che dice allo stesso tempo tutto e niente; che lega il degrado subito alla non garanzia dell’ottimo; che mescola il disagio di chi è rimasto periferico con l’inappagamento di chi ambiva a più centralità. Una frase che vale sempre, in ogni tempo, in ogni luogo, per ogni categoria sociale; che però può funzionare in tempi confusi attraversati da aspirazioni vaghe.
La mancanza, poi, di una chiamata forte a dare un senso con Sala alla continuità dopo Pisapia, ha messo i cittadini in una posizione più di spettatori che di parte attiva di una nuova autorappresentazione della città. Ma è vero che anche i milanesi stessi appaiono, nel complesso, poco ricettivi. Sembrano più accontentarsi del trovarsi a vivere nel comune giusto – Milano anziché Roma – che impegnati a sostenere il sindaco giusto; più rassicurati del trovarsi alla fine della crisi che attenti a scegliersi la guida giusta per andare oltre; più orientati a consolidare i risultati raggiunti che interessati a continuare a sfidare il cambiamento.
Il rischio è però quello di tornare indietro, di annullare lo spirito e la vivacità espressa negli ultimi cinque anni. Eppure sui risultati ottenuti c’è ampio riconoscimento dai cittadini. Si sono realizzati progetti diventati spesso punto di riferimento per altre realtà italiane e in grado di guadagnare attenzione oltre i confini del paese. Abbassare la guardia, per chiunque vinca le elezioni, può compromettere il percorso futuro. Il lasciare prevalere forze che guardano al nuovo con sospetto può ridurre lo slancio verso l’innovazione. Non contrastare efficacemente un clima di ostilità verso la diversità può indebolire la crescita di una cultura dell’inclusione e dell’integrazione. La tentazione all’iperprotezione del locale può frenare l’apertura internazionale. Su tutti questi punti è invece cruciale non solo continuare il percorso fatto sinora ma rilanciare.
Più che abbassare la guardia è necessario, infatti, riconfermare le ambizioni su un futuro da costruire assieme. Un buon afflusso ai seggi e solide preferenze ai candidati più sensibili e attenti ai processi che fanno stare coerentemente e con successo Milano nel mondo, potranno essere di grande aiuto.

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