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Elezioni, ripartire dal basso

Dopo la discontinuità prodotta dalla Seconda Guerra Mondiale si aprì in Italia, come ben noto, la fase di “Ricostruzione”. Se non si sentì la necessità di chiamarla “Nuova costruzione” fu anche perché la discontinuità risultava sancita in modo evidente da profondi mutamenti dell’assetto istituzionale. Con il referendum del 2 giugno 1946 (che vide, tra l’altro, per la prima volta la partecipazione femminile) si passò a una nuova forma di Governo, con conseguente cambiamento del nome dello Stato italiano (da “Regno d’Italia” a “Repubblica italiana”) e la stesura di una nuova carta costituzionale.

Il Covid-19 non ha fatto crollare gli edifici ma ci impone (o offre l’occasione) di costruire un nuovo modello sociale, un nuovo modo di stare in relazione, una nuova organizzazione all’interno del contesto lavorativo, anche un nuovo rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. La fase dell’Italia post pandemica è auspicata avere spirito e modalità analoghi, pur con tutte le differenze, a quelli della Ricostruzione che pose anche le basi del miracolo economico. Gli stanziamenti messi a disposizione per finanziare un nuovo inizio per il nostro paese, in particolare quelli di Next Generation Eu, trovano un precedente simile solo nel piano Marshall avviato nel 1946. Quello di cui l’Italia di oggi non potrà giovarsi è allora proprio l’impulso non solo simbolico, dato dal rinnovo delle basi democratiche del paese.

Il momento partecipativo democratico più importante della fase post emergenza sanitaria è rappresentato dalle elezioni amministrative che si terranno il prossimo 3 ottobre. Le prime di una Italia pienamente proiettata nel progettare il dopo. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che indica come verranno investite le risorse di questo nuovo piano Marshall, è il frutto di decisioni prese dall’alto. La prima scelta democratica che indirizza lo scenario post-pandemico è quindi, di fatto, proprio quella del rinnovo delle amministrazioni di 1.160 comuni (oltre che di alcune Regioni) e che coinvolge oltre 12 milioni di cittadini.

Il valore di tali elezioni – non solo sul piano simbolico – sarebbe stato ancor maggiore se si fosse colta l’occasione di estendere il voto locale ai sedicenni, compresi i figli degli immigrati (con possibilità di accesso alla cittadinanza prima dei 18 anni attraverso lo ius culturae). Purtroppo nessuna di tali due riforme a costo zero è stata (ancora) attuata.

Rimane in ogni caso vero che gran parte di come verrà organizzata, interpretata, vissuta la nuova normalità, dipenderà dalle soluzioni e dalle innovazioni che troveranno successo sul territorio. Detto in altre parole, il successo dell’avvio di una nuova fase del paese dipenderà da come il Pnrr e le risorse disponibili sapranno rendersi funzionali e coerenti con le migliori pratiche ed esperienze espresse nelle città, nei quartieri, nelle realtà locali.

E’ a partire da questa convinzione che si è sviluppato il confronto organizzato lo scorso sabato 18 settembre dall’associazione “Mappa celeste – Forum per il futuro” (www.mappaceleste.it). Da oramai tre anni Mappa celeste organizza eventi – metaforicamente collocati nei passaggi di stagione – con l’obiettivo di mettere in rete e far emergere ciò che dal basso funziona, è sostenibile e crea valore nell’aprirsi positivamente verso il futuro e in coerenza con i grandi cambiamenti del nostro tempo. Il tema messo al centro in questa occasione è stato quello del rapporto tra politica e prossimità.

La serata si è aperta con un intervento di Ezio Manzini, autore del recente libro «Abitare la prossimità. Idee per la città dei 15 minuti» e si è chiusa con Cristina Tajani, che ha appena pubblicato «Città prossime. Dal quartiere al mondo: Milano e le metropoli globali». Tra tali due interventi si è svolto il racconto di candidati – soprattutto giovani e donne – che hanno deciso di mettersi a disposizione, nel modo più stretto con il territorio (nei municipi delle grandi città e nei piccoli comuni), per aiutare a dar spinta e direzione dal basso ad un nuovo percorso del paese. Al di là dei candidati sindaco, su cui si concentra ossessivamente la campagna elettorale, è soprattutto da un impegno come il loro che il territorio può sperimentare nuove forme di protagonismo positivo attraverso processi che mettano in relazione le persone per creare valore condiviso.

Se la pandemia ci ha imposto il distanziamento, è proprio da un nuovo significato e una nuova funzione da dare alla prossimità che ora dobbiamo ripartire.

Il baricentro si sposta sul bambino come titolare del sostegno

La Legge di bilancio è vissuta, ogni anno, come un momento importante e delicato. Lo è ancor più quest’anno per i contenuti in sé e per il messaggio che la politica darà al Paese rispetto al momento che stiamo attraversando, alle urgenze in risposta alle difficoltà poste dalla pandemia e alle prospettive di rilancio della crescita.

La generazione esclusa dagli Stati Generali

C’è un Paese da reinventare, modernizzare, rendere più inclusivo. Per capire come farlo il premier Conte ha convocato a Villa Pamphili i rappresentanti delle istituzioni europee e i vertici delle organizzazioni sindacali, delle associazioni di categoria, delle parti sociali. C’è stato poi anche spazio per un incontro con alcuni comuni cittadini e qualche delegazione di giovani. C’è chi ha definito questi Stati Generali una passerella mediatica.

Un’alleanza per guidare la Nave Italia

Caro Direttore,
la nave Italia sta viaggiando nella direzione sbagliata. Trasformare la rabbia diffusa in odio può dare la sensazione di alleviare i problemi. Affermare che l’Italia può fregarsene delle compatibilità internazionali è un inganno che sarà pagato caro. Immaginare che la crescita si ottenga semplicemente aumentando il debito e alimentando i consumi è una illusione pericolosa.
Più presto il paese uscirà da questa fase onirica, meglio sarà. L’Italia ha bisogno, anzi l’opportunità, di cominciare a scrivere una pagina di storia nuova.
Ma per andare al di là di questa stagione triste è necessario avere una lettura diversa.
Sono tre le piste principali su cui lavorare.
Crescita economica e sviluppo sociale devono tornare a marciare insieme. Per navigare in mare aperto non possiamo più tollerare chi distrugge valore: sperperando denaro pubblico, distruggendo l’ambiente, sfruttando il lavoro, non pagando le tasse. Attorno a politiche nuove abbiamo al contrario bisogno di alleare tutti coloro che contribuiscono alla creazione del ben-essere e ben-vivere comune. Se vogliamo trasformare la rabbia in energia, la nostra convivenza e le nostre istituzioni vanno ricostruite su un nuovo scambio “contributivo e sostenibile” cosi da ridisegnare completa-mente i rapporti cittadino-stato e lavoro-impresa. Per mettere il passato alle spalle, la vera svolta è passare dalla irresponsabilità diffusa alla partecipazione costruttiva. Non dobbiamo aver paura di darci traguardi ambiziosi: aspirare ad una società dove ciascuno (incluso chi oggi é ai margini) sia messo in condizione di dare il proprio contributo per migliorare l’esistente, sentendosene responsabile
Il valore va prima di tutto creato e poi redistribuito, in una logica dinamica e virtuosa che attribuisca alla redistribuzione una funzione di investimento mirato sia alla riduzione delle diseguaglianze che alla produzione di nuovo valore e maggior benessere. In un paese che invecchia il rapporto tra tradizione e innovazione va ristabilito investendo nei giovani e nelle loro potenzialità, senza relegarli in panchina con politiche paternalistiche e assistenzialistiche. Solo ciò che migliora oggi la capacità di essere e fare delle nuove generazioni porta ad un futuro comune migliore. Non si esce dalla crisi semplicemente immaginando che l’economia sia una macchina da rendere efficiente. La sfida che abbiamo davanti è piuttosto quella di realizzare un modello di crescita sostenibile capace di farci fare un passo in avanti sul piano culturale e spirituale. E di raccordare meglio mezzi e fini, efficienza e inclusione, innovazione e umanizzazione, individuo e collettività realizzando una crescita di qualità, attributo che non è dei sistemi ma delle persone e delle comunità. Per questo non ci sarà nessuna nuova stagione senza mettere al centro la formazione, la scuola, il lavoro. Dove anche il welfare sia visto come investimento sociale, attivo e abilitante.
Lo scopo di questo intervento è quello di innescare processi e suscitare alleanze tra le tante forze positive che già operano nel paese. Forze, autonome dai partiti politici, dei mondi vitali dell’impegno sociale, educativo, civile, non che sono oggi disperse e che rischiano di finire sommerse dall’onda alta del populismo.
Non servono manifesti e cartelli politici, è venuto il momento di associare queste forze in uno sforzo comune. Serve un passo avanti per uscire dal “ricatto di breve termine”: tutto ci dice che i progetti umani con un orizzonte corto sono inefficaci e finiscono per essere dannose.
Invece che promesse mirabolanti o imperativi categorici, il paese a cui pensiamo lavora per unire visione e competenza, innovazione e inclusione, audacia e saggezza, sogno e concretezza.
Ricominciamo da qui. Insieme.

Mauro Magatti
Marco Bentivogli
Leonardo Becchetti
Alessandro Rosina

Dai giovani più fiducia nelle imprese che nella politica

L’azione del governo appare più orientata alla difesa e al “contro”.
Azione contro l’immigrazione, contro i privilegi della casta, contro le aziende che assumono ricorrendo troppo a contratti flessibili. Azione che risponde al timore di non perdere quanto sinora acquisito, di dare sicurezza, in coerenza con i sentimenti dell’elettorato di Lega e M5S, ma con il rischio di un ulteriore schiacciamento sul presente.
Si fa fatica a intravedere invece un’azione che aumenti le prospettive di lavoro all’interno di un solido progetto di sviluppo del Paese e di incoraggiamento alle energie positive ad aprirsi verso il futuro.
Questo trova riscontro nell’atteggiamento delle nuove generazioni, che rimangono con livelli bassi di fiducia nelle istituzioni e nello stesso nuovo governo, in attesa di vedere un’azione più concreta e convincente di miglioramento delle proprie condizioni.
Più fiducia offrono invece alle aziende, al volontariato e alla ricerca scientifica. Ovvero in contesti in cui possono diventare protagonisti per la crescita sociale ed economica del Paese.
I dati raccolti dal “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo dal 2 al 13 luglio 2018 su un campione di oltre 2mila giovani tra i 20 e i 34 anni, mostrano come chi assegna voto positivo al governo sia poco più di un giovane su tre. Sotto tale percentuale si collocano i partiti, le banche e i sindacati, ma anche i social network (che appaiono screditati da oltre due giovani su tre).
Scuola e forze dell’ordine continuano a essere considerati due punti di riferimento solidi da circa il 60% dei rispondenti. Ma piccole imprese, volontariato si collocano su livelli simili, con la ricerca scientifica che si posiziona sopra a tutto il resto.
Per converso può preoccupare che un 30% dei giovani non esprima fiducia quasi in nulla. Una sfiducia spesso legata a una condizione senza prospettive che poi diventa corrosiva in ogni dimensione della vita e della partecipazione sociale.
In positivo c’è il fatto che, nonostante le condizioni in cui si trovano i giovani italiani (si pensi al record di Neet in Europa, all’incertezza occupazionale e alle basse retribuzioni), la grande maggioranza degli intervistati guardi con fiducia alla scuola, all’impegno sociale nel volontariato, all’intraprendenza delle piccole e medie imprese, alla ricerca scientifica e all’innovazione. Ovvero nei contesti in cui si è messi nelle condizioni di imparare e fare (l’opposto della condizione di Neet in cui troppi continuano a essere intrappolati).
Rimane il punto debole del ruolo della politica e delle istituzioni. Dato confermato dal fatto che circa il 60% degli intervistati non ha visto sinora un’azione pubblica impegnata nel migliorare le condizioni delle nuove generazioni e la considera poco attenta a offrire spazi e opportunità per favorire il loro inserimento attivo nei processi di crescita sociale ed economica del Paese. Il fatto che a malapena il 10% dei giovani assegni un voto superiore o uguale a 8 al ruolo del governo e delle istituzioni su questi punti evidenzia che anche molti di coloro che hanno votato per Lega e M5S siano ancora in attesa di vedere azioni concrete che vadano oltre all’offrire difesa dai rischi di peggioramento delle condizioni presenti, per mettere le basi di un processo che immetta le nuove generazioni solidamente nei processi di costruzione di un futuro migliore.

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