La generazione stage chiede vero lavoro

L’Italia per le nuove generazioni è come uno stage: un paese non necessariamente ostile alle nuove generazioni, ma senza una chiara idea di come utilizzarle al meglio.

Il lavoro per un paese è come il vento per una barca a vela. Se non soffia, la barca rimane ferma. Ma ciò accade anche se le vele, per imperizia, non sono ben disposte. E’ inoltre vero, citando Seneca, che nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove andare. In questi anni abbiamo sentito molte discussioni sul vento che mancava o che cambiava, ma poco si è ragionato sulla direzione da intraprendere. Irrisolta è rimasta, in particolare, la questione di quale lavoro per quale modello di sviluppo.

Abbiamo bisogno non solo di più occupazione, ma di migliorare le opportunità per tutti di poter svolgere un’attività in cui si è incentivati a dare il meglio di sé, contribuendo a produrre ricchezza per il territorio in cui si vive e ottenendo il giusto riconoscimento economico. Se in Italia siamo ancora lontani dal trovarci solidamente avviati in tale direzione, anche la Lombardia e Milano arrancano. Secondo dati di varie fonti  – compreso il recente Rapporto “Il lavoro a Milano” realizzato da Assolombarda, Cgil, Cisl e Uil – nell’ultimo anno la disoccupazione ha raggiunto il suo picco più alto e la regione ha perso competitività rispetto alle aree più avanzate d’Europa.  Questo nonostante potenzialità riconosciute, come l’eccellenza del nostro sistema universitario e la qualità professionale della forza lavoro. Ma lo spreco maggiore riguarda le nuove generazioni. Il Rapporto già citato evidenzia come la Lombardia sia l’unica tra le grandi regioni europee comparabili a far registrare un peggioramento del tasso di disoccupazione giovanile, salito oltre il 30%.

Nei paesi più competitivi il capitale umano delle nuove generazioni è considerato il carburante più prezioso per alimentare il processo di crescita. Noi invece lo disperdiamo e lo sottoutilizziamo, non dotando le nuove leve di strumenti adeguati per dare il loro miglior e più efficace contributo allo sviluppo del paese. Eppure, nonostante la frustrazione per le maggiori difficoltà che incontrano rispetto ai coetanei del resto d’Europa, la disponibilità dei giovani ad essere attivi rimane elevata. Interessanti sono, a questo proposito, i dati sugli stage raccolti dal “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, presentati e discussi lunedì scorso all’interno dell’evento “Best stage 2015” organizzato da “La Repubblica degli Stagisti” al Circolo della Stampa di Milano. I risultati dell’indagine, condotta su un campione rappresentativo di 1660 persone tra i 20 e i 32 anni, evidenziano come lo stage sia oramai ampiamente accettato come tappa obbligatoria prima di accedere pienamente al mercato del lavoro. Sulla sua utilità l’atteggiamento è però ambivalente: l’83% degli intervistati pensa che si presti ad essere uno strumento di sfruttamento, mentre una percentuale quasi analoga, pari al 78%, lo considera comunque una importante modalità di formazione e preparazione per il mondo del lavoro. La gran parte dei giovani non lo vede negativamente ma usato troppo spesso male.  A conferma, elevatissima è la quota, pari al 94%, di chi pragmaticamente afferma che lo stage può essere ottimo o pessimo a seconda delle condizioni offerte.

L’Italia per le nuove generazioni è insomma come uno stage: un paese non necessariamente ostile alle nuove generazioni, ma senza una chiara idea di come utilizzarle al meglio.

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