Pechino alla sfida del calo demografiche

Il caso della Cina insegna che la demografia non si presta a scelte drastiche e a interpretazione semplificate.

Quando alla fine degli anni Settanta del secolo scorso entrò in vigore la politica del figlio unico, la Cina si apprestava ad essere il primo paese al mondo a superare il miliardo di abitanti. La piramide demografica presentava una base molto larga, con il 60% della popolazione sotto i 25 anni e meno del 5% sopra i 65. Oggi il primo gruppo di età risulta dimezzato e il secondo triplicato.

Un dato che spesso viene evidenziato della conseguenza della politica restrittiva sulla fecondità è il rallentamento della crescita della popolazione. L’entità di tale rallentamento può essere in buona misura colto dal confronto con l’India. Quest’ultimo paese aveva 300 milioni di abitanti in meno nel 1980, ma entro questo decennio andrà a superare la popolazione cinese e continuerà poi a salire oltre il miliardo e mezzo, mentre la Cina si fermerà sotto tale soglia per poi progressivamente diminuire. La politica del figlio unico aveva, del resto, proprio l’obiettivo di contenere l’eccessivo aumento della popolazione per poter favorire la crescita economica. Il prodotto interno lordo cinese rischia ora però di subire gli effetti negativi dello stesso indebolimento demografico.

Non è però tanto la questione della diminuzione della popolazione in sé a preoccupare, ma l’impatto che il brusco freno sulla natalità sta producendo sulla struttura per età. Questo è un punto cruciale che però l’opinione pubblica fa fatica ad acquisire con piena consapevolezza. La denatalità non riduce semplicemente la popolazione, la erode dal basso, ovvero fa in modo che le nuove generazioni via via entranti siano sempre di meno. Questo nel tempo produce forti squilibri, in particolare nel rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età lavorativa, con mutamento sfavorevole del rapporto tra chi alimenta i processi di crescita e chi assorbe ricchezza. La presenza solida di popolazione in età 25-49 ha sostenuto la produzione e alimentato un ampio mercato interno. Ma questa componente è proprio quella che si ridurrà maggiormente, mentre gli over 65 diventeranno oltre uno su quattro entro la metà del secolo.

Il caso della Cina insegna che la demografia non si presta a scelte drastiche e a interpretazione semplificate. Il freno della popolazione attraverso la riduzione delle nascite produce squilibri – soprattutto se il calo della fecondità è repentino e i valori rimangono persistentemente bassi – con costi economici e sociali che diventano crescenti nel tempo. Ciò spiega perché il Governo cinese abbia prima allentato il vincolo del figlio unico (che aveva peraltro prodotto una distorsione nel rapporto tra i sessi per la preferenza nella aree rurali per il discendente maschio) e poi tolto nel 2016.

L’Italia presenta una struttura demografica tra le peggiori al mondo, con l’aggravante di un maggior peso del debito pubblico. Ciò che invece rende l’invecchiamento più grave in Cina è un sistema sociale, previdenziale e sanitario, molto meno sviluppato. Particolarmente carente in molte zone rurali dove la presenza di anziani – per le dinamiche migratorie verso i grandi centri urbani – è maggiore. Aumenta quindi fortemente la domanda di sostegno e assistenza, mentre la denatalità ha ridotto il welfare informale delle rete familiari a cui far riferimento e il welfare formare è ancora largamente inadeguato.

In questo scenario demografico, la sostenibilità sociale e la possibilità di alimentare la crescita economica non possono che passare attraverso un miglioramento dei fattori di efficienza e produttività del lavoro. La strategia del Dragone sembra essere quella di puntare sull’aumento del capitale umano, sull’investimento in ricerca e sviluppo, sul favorire i processi di innovazione nei campi della robotica, dell’intelligenza artificiale e dell’automazione. Una strada in comune con paesi vicini, come Corea del Sud e Giappone, che affrontano una sfida demografica simile. Ma avere meno giovani significa anche, in prospettiva, una società meno dinamica e meno in grado di produrre innovazione.

Il caso della Cina mostra anche che la politica può incidere non solo sui comportamenti ma anche sulla dimensione culturale all’interno della quale i cittadini operano le proprie scelte, comprese quelle riproduttive. Con una natalità assestata così in basso, per quanti correttivi si mettano in campo, gli squilibri demografici continueranno ad ampliarsi. Dopo aver dimostrato che si può obbligare i cittadini a non avere figli, la Cina si dovrà nei prossimi anni forse confrontare con il limite di non poter obbligare a farli.

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