Perché manca in Italia una protesta giovanile

Il nostro Paese non ha ancora dimostrato nei fatti di credere alle nuove generazioni, che rivestono un ruolo ancora troppo timido nel produrre cambiamento. Come inventare nuovi approcci senza ripercorrere i sentieri tracciati dagli adulti.

Ciò che accade ai giovani fa parte della cronaca, ciò che fanno le nuove generazioni appartiene invece alla storia. Un Paese che vuole crescere, ma ancor più ha una propria visione di futuro da realizzare, trasforma i giovani da figli da proteggere a coorti di un esercito adeguatamente preparato e pronto a spingersi oltre i confini. Non per far guerra e invadere altri Stati, ma metaforicamente impiegato per una campagna di espansione delle opportunità e di conquista di nuovo benessere. Questo non significa, inoltre, che i singoli debbano essere guidati dall’alto verso obiettivi preordinati – anche perché ciò è sempre meno coerente con il modo di essere e di sentire nelle società moderne avanzate – ma che si possano considerare, con strumenti adeguati, parte attiva di un processo di ampliamento dello spazio di benessere comune.

Più che rispetto allo spazio, il processo di conquista deve estendersi nella dimensione del tempo. Realizzato strategicamente tramite scelte personali e collettive in grado di impegnare le risorse e le energie di oggi in funzione di avere di più e far ancor meglio domani. Il concetto di confine e quello di generazione sono strettamente legati. Le nuove generazioni devono poter considerare i limiti posti da genitori e nonni non come confi ni invalicabili ma come nuovi orizzonti rispetto ai quali mettere alla prova le proprie potenzialità. Le posizioni acquisite e consolidate dalle generazioni precedenti non devono diventare barricate dietro cui difendersi, ma punto di partenza per raggiungere ancora più ambiziosi, a volte impensabili, traguardi. Se non fosse così, vivremmo oggi ancora nelle caverne anziché progettare la prima stazione permanente su Marte.

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