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Clima: i giovani sono protagonisti

I giovani ci sono e ci credono. Sono sempre di meno ma vogliono contare di più. Non sono facili da trovare dove ci si aspetta che siano, ma mostrano una grande voglia di protagonismo negli ambiti in cui sentono di poter fare la differenza a modo loro.

Vogliono soprattutto esserci dove le cose accadono, dove ci sono questioni considerate centrali per il proprio tempo, dove serve la loro spinta per superare limiti e storture di sistema. Lo si è visto recentemente nella mobilitazione spontanea a favore delle zone alluvionate, lo si riscontra sui temi dell’ambiente e dei diritti, lo si è osservato nella protesta per gli alti affitti universitari. L’elemento comune è il sentire una chiamata a farsi soggetti attivi in modo collettivo nel migliorare una realtà critica con il proprio contributo distintivo, portando le proprie sensibilità e istanze.

La questione ambientale, in particolare, è posta dai giovani come priorità. E’ diventata parte dell’identità generazionale per l’urgenza con la quale è posta e le modalità sperimentate per portarla al centro dell’attenzione pubblica. Se esistono elementi di discontinuità rispetto a come il cambiamento climatico è stato considerato e gestito dalle generazioni precedenti questo non significa che venga considerato un tema di conflitto generazionale. Va anche considerato che l’universo dei giovani è composto da diverse galassie, non da un gruppo monolitico e monopensiero, e al suo interno le posizioni sono articolate, frutto di un pensiero critico complesso ove si riflettono, verosimilmente, esperienze di vita, considerazioni personali, familiari e sociali. Anche rispetto alla radicalità delle azioni da intraprendere, le posizioni sono diverse.

I dati dell’indagine realizzata da Ipsos per l’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo e in collaborazione con il Corriere della Sera, evidenziano in modo chiaro come l’attenzione alla questione riguardi certamente in modo distintivo i giovani, ma imponga un impegno traversale e condiviso. Richiede che tutti si rimettano in discussione: nei comportamenti personali, nell’azione pubblica e nel modello di sviluppo.

Ecco allora che oltre il 60% dei rispondenti auspica che la questione sia gestita insieme da tutte le generazioni, in un costante dialogo e confronto. Riguardo, poi, alla responsabilità del raggiungimento e consolidamento dello sviluppo sostenibile le risposte dei giovani si suddividono in tre blocchi pressoché equivalenti: per circa un terzo degli intervistati lo sviluppo sostenibile dipende dalle scelte quotidiane dei singoli cittadini, per un terzo dalle aziende, per un terzo, infine, dalla politica. Chiedono, implicitamente, un’alleanza – o almeno una sinergia – tra istituzioni, imprese e cittadini per un traguardo comune.

Proprio lo sviluppo sostenibile è forse la sfida che consente (e costringe) maggiormente ad adottare una prospettiva che anticipa il futuro desiderato per mettere in discussione quanto si è fatto sinora e impegnando le scelte del presente. Se l’azione delle nuove generazioni è portata a scardinare rendite e finte sicurezze del passato, rispetto alle scelte responsabili del presente che migliorano il futuro i giovani non vogliono sentirsi soli. C’è il riconoscimento che non esistono soluzioni semplici. Va ripensato assieme il modello sociale e di crescita. Ma non è semplice nemmeno cambiare i propri comportamenti. Su questo c’è anche una disponibilità all’autocritica. Più del 40% afferma che in teoria vorrebbe vivere in maniera sostenibile ma che non lo fa “perché non è pratico”. Oltre uno su tre non privilegia la praticità ma non si sente pienamente coerente con l’impegno quotidiano verso la sostenibilità. C’è un miglioramento nel passaggio dagli adolescenti (fascia 14-17) ai giovani (18-22 anni). Qui sono oltre uno su cinque coloro che adottano una posizione di impegno in prima persona anche nelle proprie azioni private. Questo risulta ancor più forte tra le ragazze, che si spendono anche maggiormente in un ruolo di stimolo a comportamenti sostenibili all’interno della famiglia.

Assieme alla necessità di andare oltre quello che le nuove generazioni da sole possono fare, nell’azione individuale e collettiva, c’è anche il riconoscimento dell’importanza di aver solidi punti di riferimento e orientamento. E’, allora, interessante osservare come i pari e i social network siano considerati fonti importanti di informazione e influenza, ma siano preceduti da scienziati ed esperti. Anche i genitori hanno un ruolo importante (soprattutto per gli adolescenti), molto meno, invece, gli influencer. In breve: riferimento a contenuti autorevoli (esperti), possibilità di confronto orizzontale (amici e social network), riscontro in termini di importanza e con soggetti di fiducia (i genitori) sono i principali motori che alimentano conoscenza, consapevolezza, coinvolgimento sui temi ambientali e della sostenibilità.

Per gli adolescenti una fonte importante sono anche gli insegnanti: poco più del 66% dei partecipanti alla ricerca li ha indicati come in grado di influenzarli molto o abbastanza in merito a questi temi. Pare dunque che non solo adolescenti e giovani abbiano bene presenti i tre assi della sostenibilità alla base di Agenda 2030 –  ambientale, sociale ed economica – ma anche che gli adolescenti ripongano grande fiducia nella scuola in merito alla possibilità di educarsi a questi valori. E cosa chiedono alla scuola? Le idee anche qui sono molto chiare e mettono in luce il loro voler essere non “corpi sdraiati” ma “teste pensanti”. Alla scuola chiedono di promuovere in modo accessibile un pensiero complesso, capace di valorizzare la storia del passato ma anche di proiettarsi nel futuro: capire e aver solide radici per poter progettare. Chiedono una lettura interdisciplinare dei fenomeni: per comprendere  e agire nella complessità sono necessarie competenze e conoscenze multiple e integrate.  Chiedono di connettere globale con locale. E, infine, chiedono stimoli per sviluppare un pensiero critico.

Nella grande maggioranza c’è, in definitiva, il desiderio di veder crescere sia la propria capacità di impegno personale sia le condizioni collettive, sociali ed economiche, che favoriscono lo sviluppo sostenibile. Mettono al centro il proprio protagonismo positivo ma riconoscono le competenze agli adulti di cui si fidano e chiedono di costruire insieme sostenibilità integrale e bene comune.

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La maturazione politica di una generazione

E’ arrivata la generazione che salverà il mondo e nel caso non riesca a farlo ha ben chiaro a chi dare la colpa. Era annunciata da vari anni da segnali crescenti e sempre più forti. Ma l’evento Youth4Cimate che si è tenuto a fine settembre a Milano l’ha di fatto chiarito in modo definitivo. “We are unstoppable” ha affermato in modo deciso Greta Thumberg, che nel contrasto tra la sua fisicità e i toni dei suoi discorsi rappresenta perfettamente la Generazione Zeta, che dalla sua parte non ha la forza ma è fortemente convinta di aver ragione. Viene accolta dalle istituzioni quasi come fosse il capo di stato di una nazione di giovani che non ha confini ma che non vuole essere solo virtuale: sa scendere in strada e prendersi le piazze per dare concretezza al cambiamento. Da un lato le istituzioni del “mondo del bla bla bla” e dall’altro la “nazione del futuro adesso”. Mario Draghi dopo averla incontrata al Pre-Cop26 di Milano ha affermato ai giornalisti che “con Greta e andata benissimo”. E’ curioso vedere i grandi della terra, dopo essere stati ammoniti in modo sferzante, affrettarsi a dire che condividono l’accusa che ad essi viene rivolta. Di fondo c’è una sincera condivisione del fatto che, come afferma il premier italiano, si tratta della “generazione più minacciata dai cambiamenti climatici” e quindi ha ragione “a chiedere una responsabilizzazione, a chiedere un cambiamento”. Pochi giorni dopo papa Francesco, nel suo saluto ai giovani economisti riuniti a Perugia ha affermato: “Voi siete forse l’ultima generazione che ci può salvare, non esagero”

Gli Zeta (gli “unstoppables”), a differenza degli Xers e dei Millennials, stanno diventando una generazione “politica”. Come mette in luce un’ ampia letteratura sociologica che parte da Ortega y Gasset e Mannheim, ogni nuova generazione è chiamata a reinventare il mondo a partire dal sistema di vincoli e opportunità in cui viene posta nel contesto storico in cui vive. Molte subiscono i mutamenti del proprio tempo altre lasciano la propria impronta. La differenza la fa il giungere, come scrive Fogt, “in modo simile e consapevole a prendere posizione nei confronti delle idee e dei valori dell’ordinamento politico nel quale sono cresciuti”.

E’ da tempo che non si osservata una generazione che in modo così chiaro manifesta l’urgenza di agire, cercando nel contempo di maturare una propria visione di come il mondo va cambiato e con quali strumenti produrre il cambiamento. Prima degli Zeta lo sono stati i Boomers, una generazione che ha avuto successo nel farsi classe dirigente, molto meno nel migliorare le condizioni di chi veniva dopo.

La questione che i giovani oggi pongono al centro è ineludibile. E’ sentita dai coetanei di Greta come propria pur trovando riconoscimento trasversale. Va anche oltre il tema ambientale in senso stretto. In primo luogo perché aiuta ad adottare un approccio che consente di far uscire il futuro dalla sfera dell’inquietudine generica per collocarlo entro un orizzonte di scenari possibili dipendenti dai comportamenti di oggi. O, ancor più, a porre il domani desiderato come guida delle decisioni da prendere oggi. La spada di Damocle del futuro incerto e minaccioso che pende sulla testa dei giovani viene metaforicamente afferrata dalla generazione politica e brandita per reclamare diritti, spazi e opportunità per contare ora.

In secondo luogo perché lo stesso impegno per il futuro del pianeta consente di sperimentare modalità di partecipazione e di protagonismo non solo congeniali con le proprie competenze e predisposizioni ma anche pragmaticamente efficaci rispetto agli obiettivi e alla necessità di guadagnare visibilità e attenzione da un pubblico più vasto.

A differenza dei Boomers il punto di partenza non è l’adesione ad un’ideologia, ma l’esperienza concreta su un tema specifico di interesse e valore comune che consente di sentirsi parte di un cambiamento possibile grazie a un proprio contributo riconoscibile. Questa esperienza incentiva poi a informarsi meglio e a impegnarsi ancora di più, sviluppando progressivamente una visione del proprio ruolo come generazione “politica” che ingloba coerentemente il tema dell’ambiente all’interno di una riflessione più ampia sulla costruzione di un modello di sviluppo inclusivo e sostenibile.

Nessuno fermi la generazione Greta, ma teniamo ben presente che rimane responsabilità di tutti la direzione da dare al futuro comune.

Generazione Verde, un giovane su due allarmato per il clima

C’è un pianeta da salvare, c’è un impegno per il bene comune da riscoprire, c’è una consapevolezza dell’importanza di agire oggi per un futuro migliore da rafforzare, c’è un protagonismo positivo delle nuove generazioni che torna a soffiare. Tutti questi elementi combinati insieme stanno alla base della chiamata alla discesa in campo, contro il riscaldamento globale e a favore dello sviluppo sostenibile, dei giovani di tutto il mondo. Il “Global strike for future” di venerdì 15 marzo non è, infatti, solo la discesa in piazza di un giorno, ma sembra avere tutte le caratteristiche per diventare la prova generale di mobilitazione trasversale da parte di una generazione che vuole sperimentarsi come lobby positiva per il futuro di tutti. C’è, alla base, l’ambizione di incidere sulle scelte delle attuali generazioni adulte e forzarne l’azione verso la salvaguardia di un pianeta vivo e sano da consegnare alle generazioni che ancora devono nascere.

La sfida dei ragazzi per salvare il pianeta

ROMA. C’è un tema, nei tempi confusi e incerti in cui viviamo, che sembra in grado di catturare un interesse trasversale delle nuove generazioni e muoverle verso un impegno di miglioramento collettivo e senza confini: è quello della salvaguardia del patrimonio naturale del pianeta. Esiste un ampio convincimento del valore comune che esso rappresenta ma anche dei rischi legati all’impatto dei cambiamenti climatici, in larga parte prodotti dai nostri comportamenti.