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Meno promesse e più fatti sul lavoro dei giovani

Il tasso di disoccupazione giovanile, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, è salito al 43,3 per cento. Si tratta dei valori peggiori mai incontrati dalle generazioni del secondo dopoguerra. È bene precisare, visto che molta confusione esiste su questo tema, che il dato si riduce se teniamo conto del fatto che molti a quell’età sono studenti, ma non migliora in senso relativo.

 La circolazione inceppata dei giovani talenti italiani

La mobilità dei talenti è naturale e positiva. Il problema dell’Italia non sono quindi, di per sé, i tanti di valore che se ne vanno, ma i pochi che fanno il percorso inverso. Se alla forza di uscita ne corrispondesse una almeno altrettanto intensa in entrata, a beneficiarne sarebbe, a livello macro, il sistema paese, che incrementerebbe la dotazione di intelligenze ed energie che lo rendono aperto al mondo e competitivo, e a livello micro, i giovani stessi che amplierebbero le opzioni possibili coniugando la scelta di andare con l’opportunità di tornare con successo.

Per approfondire: Rosina A. (2014), “La circolazione inceppata dei giovani talenti italiani”, in Rapporto italiani nel mondo 2014, Fondazione Migrantes, pp. 280-288,Tau editrice.

I giovani senza lavoro e il futuro che si meritano

Le promesse e i fatti

Insomma, dai politici non sono mancate le promesse di miglioramento della condizione delle nuove generazioni. A mancare continuano però ad essere i fatti, a giudicare dalla persistente difficoltà dei giovani sia nel trovare e creare lavoro, che, conseguentemente, nell’avviare un proprio progetto di vita autonoma.

Mentre nel resto d’Europa a lavorare è la gran parte di chi ha tra i 18 e i 29 anni, da noi è solo una minoranza a farlo: il tasso di occupazione era il 48% nel 2005 ed è sceso nel 2012 sotto il 40%. Anche il tasso maschile si è inabissato sotto la soglia del 50% e si trova attualmente vicino al 45% (al 33% quello femminile). Oltre 10 punti sotto la media europea.

Si accentua quindi ulteriormente il paradosso di un’Italia che non solo ha meno giovani rispetto agli altri paesi avanzati, ma li rende anche meno attivi e partecipativi nella società e nel mercato del lavoro (di conseguenza più passivamente dipendenti economicamente dai genitori).

Sul significato dell’essere giovani e disoccupati in Italia

Che i giovani siano sempre di meno lo abbiamo detto e documentato molte volte in questo sito, ragionando anche su cause e implicazioni (si veda anche l’ebook per un italia che riparta dai giovani: analisi e politiche. E una conversazione con Fabrizio Saccomanni ).Datagiovani è tornata in questi giorni sull’argomento confermando quanto ampiamente noto, ma con aggiornamenti sempre utili, ottenuti rielaborando i più recenti dati Eurostat. I dati su questo tema fanno, del resto, sempre effetto. La fascia 15-24 conta attualmente circa 6 milioni di persone, rispetto agli 8,9 milioni ad inizio anni Novanta. In termini relativi è scesa da oltre il 15 a circa il 10%. Venendo ai dati sull’occupazione, riferiti al 2011, il 73% dei giovani è fuori dal mercato del lavoro (4,4 milioni), mentre il dato europeo è del 57% (con l’Olanda è al 31% e la Germania al 48%). Gli occupati sono 1,2 milioni (19%) e quelli in cerca di lavoro poco  meno di 500 mila. Tanti o pochi questi ultimi? Quasi il 30% sulla forza lavoro, circa 8% su tutti i giovani.

Le incognite dei millennial

Ecco i concetti chiave per decifrare lo scenario in cui i giovani italiani si troveranno a vivere nei prossimi decenni. Generazioni Una società composta da esseri immortali ha molte meno possibilità di cambiare e progredire rispetto a un’altra che evolve con il succedersi delle generazioni. Senza l’innovazione che ciascuna nuova generazione porta con sé, senza la propensione dei figli a non accontentarsi delle risposte dei padri, a rimettere in discussione le loro certezze, a osare sempre qualcosa di più, vivremmo ancora nelle caverne. Le giovani generazioni crescono con il mondo che cambia e trovano sulla loro strada gli stessi ostacoli che trova il cambiamento. Sono quindi la risorsa più importante per cogliere al meglio le sfide dei nuovi tempi.