Un’anomalia da correggere con il piano di rilancio

L’Italia di inizio 2022 è uno dei paesi in Europa con più debole presenza delle nuove generazioni nei luoghi in cui si è messi nelle condizioni di contribuire alla crescita e allo sviluppo economico.

L’Italia di inizio 2022 è uno dei paesi in Europa con più debole presenza delle nuove generazioni nei luoghi in cui si è messi nelle condizioni di contribuire alla crescita e allo sviluppo economico. Ma anche con meno giovani presenti nelle classi scolastiche fino a completare il percorso di istruzione secondaria di secondo grado, oltre che nelle aule universitarie fino a raggiungere con successo la laurea o un titolo di formazione terziaria professionalizzante (fornita dagli Istituti Tecnici Superiori).

Dove si trovano, allora, maggiormente rispetto agli altri paesi, i ventenni e trentenni italiani? E’ presto detto: per negazione si trovano nella condizione di NEET (“Not in education, employment or training”), ovvero nello stato di non lavoratore e non in formazione.

L’Italia ha il record in Europa non solo di giovani, ma anche di giovani-adulti che si trovano in tale condizione. Se infatti consideriamo tutta la fascia 20-34 anni, il dato del 2020 indica una media Ue del 17,6 percento, mentre quello italiano risulta pari al 29,4 percento. Si tratta del valore peggiore tra gli stati membri, come conseguenza di persistenti limiti in tutto il percorso di transizione scuola-lavoro, già presenti prima del 2008, a cui si è aggiunto l’impatto particolarmente negativo della congiuntura della Grande recessione che ha reso ancora più fragili i percorsi formativi e professionali delle nuove generazioni italiane. Nessun miglioramento si è osservato nel decennio scorso rispetto al posizionamento del tasso di Neet italiano nel ranking europeo. Detto in altro modo, se esistessero i campionati europei di occupazione giovanile, nel 2020 saremmo arrivati ultimi confermando la stessa posizione oramai da molte edizioni.

Il dato sui Neet rivela una triste verità del nostro paese: quella di aver trasformato le nuove generazioni in uno “svantaggio competitivo” nello sviluppo dell’Italia all’interno del quadro internazionale. I giovani italiani sono di meno, mediamente meno formati a livello avanzato, meno valorizzati quando inseriti nel sistema produttivo, più passivamente a carico dei genitori o del welfare pubblico. Rispetto ai paesi con cui ci confrontiamo, da un lato sono meno efficacemente messi nella condizione di creare valore nel mondo del lavoro, d’altro lato sono lasciati più facilmente diventare un peso in termini di costi sociali.

L’impatto della pandemia non ha certo migliorato questa situazione. Molte sono le ricerche che mostrano come le nuove generazioni siano state le più indirettamente colpite dalle misure messe in atto per contenere la diffusione del virus, con ripercussioni sia sulla formazione che sulle opportunità occupazionali. Il riscontro lo si vede anche in termini di ricadute sui progetti di vita. I dati Istat mostrano come le nascite si siano ridotte maggiormente per le coppie con condizione meno solida nel mondo del lavoro e in particolare tra gli under 35. Questo mostra anche come le difficoltà che le nuove generazioni trovano nell’entrare nel mondo del lavoro e di raggiungere una propria solida autonomia economica, vadano non solo ad aumentare le diseguaglianze generazionali e sociali ma anche ad accentuare gli squilibri demografici del paese. L’indebolimento delle condizioni presenti dei giovani diventa quindi un indebolimento anche del loro futuro compromettendo le possibilità di sviluppo sociale ed economico dell’intero paese.

Questo spiega anche perché l’Italia debba ripartire dal considerare i giovani non tanto il futuro, quanto il presente, come ha ricordato il presidente Mattarella nel suo ultimo discorso di fine anno dal Colle citando l’insegnante che ha perso la vita nel drammatico crollo di Ravanusa. Per essere il presente, i giovani devono essere presenti nella scuola e nel mondo del lavoro con condizioni che consentano di dare il meglio di sé. E questo è proprio il contrario di essere NEET.

E’ allora da qui che deve partire il Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza, perché è dal superamento di questa anomalia italiana che ci rende da troppo tempo persistentemente i peggiori in Europa che si misurerà il successo nel dare una nuova prospettiva di sviluppo all’Italia. Serve quindi un Piano che in coerenza con il pnrr assegni un ruolo centrale alle nuove generazioni nel percorso di crescita presente e futura. Per lo sviluppo competitivo del paese di fronte alle sfide di questo secolo non basta, infatti, la mera occupazione dei giovani, ma serve la capacità di mettere pienamente a valore le loro specifiche competenze e sensibilità nei processi che generano nuova ricchezza e benessere. Questa operazione antropologica è ciò che più manca nel sistema produttivo italiano, prima ancora che le infrastrutture e la dotazione tecnologica.

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