Topic: popolazione, risorse e sviluppo

Il doppio esodo che minaccia il futuro dell’Italia

Il futuro dell’Italia dipende dalla capacità di rigenerare la popolazione nelle età più produttive e fertili. Se non riuscirà a farlo, il Paese dovrà affrontare costi sempre più gravosi legati all’invecchiamento e al debito pubblico su basi demografiche sempre più fragili. Nel testo della recente Audizione dell’INAPP alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, si afferma che “In soli dieci anni usciranno dal lavoro circa 6,1 milioni di italiani: un esodo generazionale che rischia di lasciare il Paese senza ricambio e di mettere in crisi la tenuta del welfare”. Il Presidente dell’INAPP, Natale Forlani, ha inoltre ribadito che “la dinamica è già visibile oggi: indice di dipendenza demografica in crescita, carenza di competenze e difficoltà nel reperimento di personale, spesa pensionistica in aumento fino al 17% del PIL entro il 2040, e oltre 4 milioni di over 65 non autosufficienti che richiedono assistenza continuativa”.

I futuri genitori preferiscono davvero avere figlie femmine?

Lo rivelano i dati sulle cosiddette “ragazze mancanti” (il numero di aborti in base al sesso), passati da 806 mila nel 2000 a 107 mila nel 2025, pubblicati di recente dal Times. E i sondaggi sui genitori europei.

Nelle società patriarcali del passato, un figlio maschio era essenziale per motivi economici e simbolici. Garantiva braccia per il lavoro nei campi o nelle botteghe artigiane, assicurava la continuità del nome della famiglia e forniva sostegno materiale ai genitori in vecchiaia. Il mestiere si trasmetteva di padre in figlio, così come la casa e i beni. Anche le casate nobiliari avevano bisogno di un erede maschio per tramandare titoli e patrimoni. Quel mondo non esiste più.

Il diritto alla pensione non dipende dall’avere figli, mentre è cresciuto il costo del loro mantenimento. L’equiparazione dei diritti ha posto fine anche al monopolio del cognome paterno: in Italia, come in molti altri Paesi, i nuovi nati possono ricevere entrambi i cognomi dei genitori o di uno dei due. Il vantaggio di avere un figlio maschio è quindi svanito e sembra farsi strada una preferenza verso le figlie femmine. Molti genitori le considerano più facili da crescere, perché in media vanno meglio a scuola, sono più collaborative e responsabili, anche se non sempre è così. Tendono, inoltre, a lasciare prima la famiglia di origine, ma mantengono legami più intensi con i genitori, offrendo maggiore sostegno emotivo e un contributo più rilevante nella cura di madri e padri anziani.

Verso una società della longevità inclusiva e sostenibile

A fronte di molti indicatori di sviluppo e benessere che ci vedono nelle posizioni più scomode in Europa, ce n’è almeno uno che si distingue in positivo, è l’aspettativa di vita. Eppure sembriamo far di tutto per renderlo un aspetto negativo. Che gli italiani siano uno dei popoli più longevi è certificato dai più recenti dati Eurostat. La durata media di vita è salita a 81,7 anni secondo i dati preliminari del 2024, con un guadagno di o,3 anni rispetto al 2023. L’impatto della pandemia di Covid-19 è stato completamente superato e le dinamiche degli ultimi anni sono tornate in linea con quelle pre-crisi. Ancor meglio fa l’Italia, la quale si colloca sopra gli 84 anni. Le previsioni Istat in tutti gli scenari considerati contempla un proseguimento del miglioramento. La questione centrale è però la qualità.

ITALIA 2050. NON E’ SOLO UN FATTO DI POPOLAZIONE

Il 2050 è vicino. Mancano 25 anni, che corrispondono alla distanza di una generazione e di una fase della vita. E’ il tempo che porta un nuovo nato ad essere un giovane uomo o donna. Ma che porta anche chi oggi è giovane a spostarsi nell’età centrale adulta, chi è nella piena età adulta a proiettarsi nella fase matura e anziana. Non è più quindi una distanza che separa il presente dal futuro ma piuttosto una prossimità tra quello che siamo e ciò che stiamo diventando.
E’ anche vero che viviamo sempre più a lungo in un mondo sempre più complesso e in rapido mutamento, quindi nulla è scontato. La demografia ci offre però alcune coordinate solide su cosa sta cambiando e come saremo nel 2050. Alcuni cambiamenti sono di fatto certi e per altri abbiamo tendenze abbastanza consolidate. Ma rimangono comunque anche margini di incertezza sui quali possiamo ancora intervenire per fare in modo di non trovarci con il futuro che capita ma con quello che, nelle condizioni date, più si avvicina a ciò che vogliamo diventare.
Cosa sappiamo, allora, di certo? Tre cose principalmente. La prima è che la popolazione italiana andrà complessivamente a diminuire. La seconda è che lieviterà ulteriormente la componente più matura. Il nostro paese ha, infatti, perso la capacità endogena di crescere a causa di un numero di figli per donna sceso da quasi 50 anni sotto il livello minimo di ricambio generazionale. Le nuove generazioni sono quindi di meno rispetto a quelle precedenti, andando a ridimensionare verso il basso la popolazione a partire dalla base della piramide demografica. D’altro lato il vertice della piramide si allarga e alza perché arrivano in età anziana le generazioni nate quando la natalità era elevata e perché si vive sempre più a lungo.
Insomma, diminuzione e invecchiamento della popolazione sono parte delle informazioni più solide che abbiamo sul 2050.
Sappiamo anche che avremo più persone con una storia migratoria alle spalle, una parte arrivate essi stessi in Italia e una parte nate in Italia da genitori stranieri. Si tratta di un processo alimentato sia dalla spinta ad emigrare da aree del mondo con popolazione in crescita e molto giovane, sia dalla sempre più rilevante carenza di lavoratori in molti settori della produzione e dei servizi in un paese, come il nostro, in cui si riducono le persone in età lavorativa e aumentano gli anziani. Va precisato che la crisi demografica italiana è diventata tale che anche flussi migratori molto abbondanti, non basterebbero a compensare del tutto gli squilibri nel rapporto tra anziani e giovani. Secondo l’Istat in tutti gli scenari previsti per il 2050 i 75enni saranno abbondantemente sopra 800 mila. Nello scenario più favorevole le età sotto i 35 anni non arriverebbero a 650 mila e quelle sotto i 25 anni starebbero sotto le 500 mila. Questo nonostante in tale scenario le entrate annuali dall’estero siano attese posizionarsi sopra le 400 mila annue. In combinazione con un numero medio di figli che da meno di 1,2 attuale sale a oltre 1,5 entro i prossimi quindici anni, in tale scenario si riuscirebbe, quantomeno, ad evitare la trappola demografica e a stabilizzare nei decenni successivi la base della piramide demografica. Ma questo non è per nulla un dato certo, dipende fortemente dal valore dato all’avere figli e alle politiche strutturali in grado di favorire tale scelta.
Al confine tra il dato certo e la tendenza c’è, poi, l’inasprimento delle differenze territoriali. Diminuzione della popolazione e squilibri generazionali sono più accentuati nelle aree più deboli del paese, in particolare nel Mezzogiorno e nelle Aree interne. Quello che rischia di diventare l’Italia nel 2050 si può già vedere in alcuni territori periferici, non più in grado di garantire servizi di base.
Tra le tendenze preoccupanti in atto c’è anche l’aumento delle famiglie che sono tali solo in senso statistico ma non sostanziale, ovvero quelle formate da una sola persona.
I motivi della loro crescente incidenza sono diversi nelle varie fasi della vita. Non si tratta sempre di una scelta. Aumenta tra i giovani la propensione a diventare autonomi, ma spesso le condizioni rispetto ai costi e all’incertezza lavorativa portano a posticipare la formazione di una propria famiglia. In età adulta ci si può ritrovare single dopo il fallimento di una unione. La crescita maggiore e più associata a condizione di fragilità è quella in età anziana. Con l’invecchiamento della popolazione aumenta il numero di persone che si ritrovano sole dopo la perdita del coniuge o di altri congiunti con cui convivevano.
La solitudine è al centro della debolezza nel nostro modo in cu stiamo affrontando i grandi cambiamenti in atto. La popolazione non è un insieme di individui indipendenti, ma va intesa come sistema fatto di storie di vita in relazione tra di loro e in continua tensione con le sfide del proprio tempo. Se si sta indebolendo oggi il nostro essere popolazione non è solo perché la quantità degli abitanti è in diminuzione, ma soprattutto perché ci sentiamo meno uniti, meno parte attiva di un comune destino aperto, di un progetto paese solido da costruire assieme.
La crisi demografica, che combina squilibri e diseguaglianze, può essere superata solo rafforzando i legami: di coppia, tra genitori e figli, tra aree urbane e aree interne, tra nord e sud del paese, tra autoctoni e nuovi arrivati, e di conseguenza tra presente possibile e futuro desiderato.