Longevità sostenibile e ricambio per le nuove generazioni

Gli attuali 75enni sono in condizioni di benessere e salute analoghe a quelle dei loro nonni a 60 anni. E’ solo dopo i 75 che oggi ci si considera anziani, non prima; con in più nuove tecnologie abilitanti in continua evoluzione. E tale soglia va, di generazione in generazione, a spostarsi sempre più in avanti.

 

Con la generazione dei Baby boomers le economie mature avanzate possono cogliere la sfida dell’entrata nella società della longevità. Non solo perché sono demograficamente tanti, ma soprattutto perché è con loro che si pone la sfida di come vivere a lungo e bene, ovvero come trasformare la quantità di anni in più in qualità di vita da vivere.

Gli attuali 75enni sono in condizioni di benessere e salute analoghe a quelle dei loro nonni a 60 anni. E’ solo dopo i 75 che oggi ci si considera anziani, non prima; con in più nuove tecnologie abilitanti in continua evoluzione. E tale soglia va, di generazione in generazione, a spostarsi sempre più in avanti.

Che in tale fase della vita ci si mantenga in salute e attivi è un bene per la qualità della vita dei singoli. Ma è anche vero, come mostrano varie ricerche, che più i senior stanno bene, meno i loro consumi, investimenti e comportamenti (anche elettorali) sono schiacciati in difesa dei propri interessi presenti e più attenti allo sviluppo sostenibile, a scelte consapevoli con impatto positivo sulla collettività. Mantenersi attivi e in salute ha poi ricadute sulla sostenibilità sociale: favorisce il contributo che si può continuare a dare all’economia e alla società e si riducono i costi di cura e assistenza.

Secondo i dati delle previsioni Istat (scenario mediano), da qui al 2050 la popolazione under 75 crollerà da 51,4 milioni a 43,3 milioni, con una perdita di oltre 8 milioni di persone. Aumenteranno invece di quasi 4 milioni gli italiani di 75 anni e oltre. E’ evidente pertanto, che la sfida della costruzione di una società della longevità sostenibile si gioca in questi anni e dipende, in larga misura, dalla promozione delle condizioni di salute e benessere dei 75enni di oggi e di domani.

Il rapporto tra popolazione e risorse sta alla base delle condizioni di benessere di ogni specie vivente. Adam Smith, nel suo libro “La ricchezza delle nazioni”, afferma che nessuna specie può moltiplicarsi più di quanto consentito dai mezzi di sussistenza. Nel suo “Saggio sul principio di popolazione” Thomas Malthus aggiunge che la popolazione tende, per sua natura, a crescere più velocemente rispetto alle risorse disponibili. Le società agricole erano caratterizzate da una continua tensione tra popolazione e risorse che esponeva a carestie, povertà, disagio sociale, peggioramento delle condizioni di salute. Da un lato la rivoluzione industriale ha aumentato la disponibilità di risorse, d’altro lato la transizione demografica – nella fase finale in cui si trova l’Italia e le economie mature avanzate – porta ad una stabilizzazione e a prospettive di declino della popolazione. La sfida che ha oggi la nostra specie, da cui dipendono le condizioni di benessere, è quella della sostenibilità del rapporto tra longevità e risorse. Nella società della longevità ad aumentare non è la popolazione, ma gli anni vissuti.

Per vivere bene a lungo in modo sostenibile è, allora, necessario agire su due assi: il rapporto tra le diverse generazioni e il rapporto tra le diverse fasi della vita.

Il primo asse richiede una rinegoziazione del patto generazionale, prendendo esplicitamente atto che le condizioni che ne stanno alla base sono profondamente cambiate rispetto al mondo in cui i giovani erano molti e gli anziani pochi. All’indebolimento quantitativo delle nuove generazioni si deve rispondere con un potenziamento del loro contributo qualificato nei processi di sviluppo e innovazione, oltre che con un rafforzamento delle modalità di collaborazione intergenerazionale nella società e nel mondo del lavoro. Nessun paese può invecchiare bene senza un adeguato rinnovo generazionale.

Il secondo asse richiede la definizione di un nuovo patto, quello con sé stessi. Ovvero un patto in grado di mettere in relazione positiva quello che siamo oggi con ciò che saremo domani. L’esistenza di ciascuno è un progetto che si svolge nel corso di vita. In un mondo caratterizzato da complessità, incertezza e vita sempre più lunga, il benessere di domani può risultare fortemente compromesso da scelte mancate o deboli di oggi. L’invecchiamento di successo si costruisce lungo la fase giovane e adulta, attraverso scelte che rafforzano il capitale umano, il benessere sociale e la sicurezza economica.

E’ necessario allora cambiare approccio. Non si tratta di gestire l’invecchiamento della popolazione ma di accompagnare la transizione verso la società della longevità. E’ errata l’idea che il modello sociale ed economico del secolo scorso vada adattato in questo secolo per reggere il carico di un maggior numero di anziani. Il vivere bene a lungo è invece l’esito coerente di un modello nuovo che ha al centro la qualità della vita, la qualità delle relazioni, la qualità dei consumi, la qualità del lavoro. Una qualità che però va declinata nelle diverse fasi della vita e che viene reinterpretata da ogni nuova generazione. Dove si aggiunge qualità anche la sostenibilità migliora, sul versante sociale, economico e ambientale. La qualità della formazione migliora lavoro e produttività. La qualità del lavoro favorisce la realizzazione dei progetti di vita e aumenta la lunga vita attiva. La qualità delle relazioni, dei servizi di welfare e della consulenza finanziaria aumenta il benessere in età anziana e riduce i costi pubblici di assistenza.

Il modello sociale ed economico dei primi decenni del secondo dopoguerra ha fornito una grande spinta per l’aumento quantitativo dell’aspettativa di vita. Bisogna ora cogliere l’opportunità per rendere l’onda alta e lunga dei Baby boomers una spinta per la costruzione di una società della longevità sostenibile, con alla base, appunto, un patto che impegna all’investimento responsabile e collettivo sulla qualità. Se lo faremo avremo un vantaggio competitivo, perché tale sfida è coerente con i più promettenti processi di sviluppo di questo secolo. In caso contrario non ci resterà che rassegnarci a gestire gli squilibri quantitativi di un paese sempre più vecchio e debole.

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