In un film del 1993 dal titolo “Ricomincio da capo”, diventato negli anni un cult, vengono raccontate le vicende di una persona che si trova a vivere ogni nuovo giorno in modo identico a quello precedente. Destinata, quindi, ad ogni risveglio a ricominciare da capo. Sembra il destino del nostro paese, peggiorato però dal fatto che, bloccato dai suoi nodi irrisolti, si risveglia ogni giorno non solo con di fronte gli stessi problemi ma anche sempre più invecchiato. Inoltre, più il tempo passa rimanendo in tale situazione bloccata, più l’invecchiamento accelera. Proviamo a chiarire perché.
Ad un primo livello la popolazione invecchia come conseguenza dell’aumento della longevità. Tener bassi i rischi di morte in età prematura e vivere bene nelle età più avanzate è un obiettivo positivo, da accompagnare con politiche adeguate per favorire una lunga vita attiva. Ben venga, quindi. E in ogni caso non ci distingue dal percorso delle altre economie mature avanzate.
Ad un secondo livello fa invecchiare la popolazione una fecondità che scende su valori molto bassi, in particolare quando il numero medio di figli per coppia si posiziona sotto la soglia di due. In tal caso le generazioni dei figli diventano progressivamente più ridotte rispetto a quelle dei genitori. Qui l’Italia rappresenta una anomalia nel contesto europeo. E’ infatti uno dei paesi membri scesi più in basso e che da più lungo tempo mantiene un tasso di fecondità inferiore a 1,5.
C’è però anche un terzo livello nel processo di invecchiamento, che produce una accelerazione al ribasso delle nascite da cui deriva una accentuazione degli squilibri tra vecchie e nuove generazioni. Si ottiene quando la persistente bassa fecondità arriva ad erodere le coorti che entrano nella vita adulta e nel mondo del lavoro. La debolezza del rinnovo della popolazione si trasforma, così, in debolezza nel rinnovo della società e dell’economia. Un sistema paese che, per carenza di adeguate politiche, ha mantenuto bassi tassi di fecondità, bassi tassi di occupazione giovanile, basso sostegno ai percorsi di autonomia e formazione di una propria famiglia, si troverà con ancor meno giovani genitori, ancor meno nascite, ancor meno offerta qualificata per lo sviluppo competitivo del paese. L’invecchiamento non solo quindi, accelera, ma si indeboliscono sia le condizioni per affrontarne le conseguenze economiche, sia le condizioni stesse per invertire la tendenza.
Risvegliarci ogni giorno con gli stessi problemi di ieri senza averli risolti e trovarci in un contesto ulteriormente peggiorato equivale, fuor di metafora, alla condizione da cui riparte il nostro paese dopo ogni elezione e con ogni nuovo governo. I dati degli ultimi quindici anni sono, in effetti, eloquenti. Nel 2008, anno dell’insediamento dell’ultimo Governo Berlusconi, le nascite registrate sono circa 577 mila. In corrispondenza dell’avvio del Governo Monti risultano scese sotto 550 mila. Si trovano ridotte a 514 mila al tempo dell’Esecutivo formato da Letta, poi a 503 mila circa con il subentro di Renzi e a 473 mila con Gentiloni. Insomma, ogni nuovo Governo – di centro-destra, di centro-sinistra o tecnico – parte con la questione demografica irrisolta per poi lasciarla aggiornata ulteriormente in negativo. Non fa eccezione il Governo Conte, che si insedia quando le nascite si trovano precipitate ben sotto le 450 mila. Quando Draghi entra a Palazzo Chigi il dato è attorno alle 400 mila. Giorgia Meloni prende la guida di un paese in cui, secondo i dati Istat appena pubblicati, i nati si approssimano a 393 mila.
Sappiamo che il tema è all’attenzione dell’Esecutivo in carica, come segnala l’inserimento del termine “natalità” nel nome del ministero guidato da Eugenia Roccella. Ma sappiamo anche che proclami e promesse non sono garanzia di azioni conseguenti.
Ma preso atto di tutto questo, sappiamo anche cosa bisognerebbe fare se davvero volessimo invertire la tendenza? La risposta è sì. Questa legislatura dovrebbe puntare su tre misure chiave e su tre obiettivi di sistema.
Riguardo alle misure, per la situazione in cui l’Italia si trova (come combinazione di persistente bassa fecondità e struttura demografica sbilanciata a sfavore delle nuove generazioni) la possibilità di dare impulso a una solida nuova fase si può ottenere solo allineandosi alle migliori esperienze europee. Dal punto di vista del sostegno economico è necessario portare la base universale dell’assegno unico ad almeno 200 euro mensili, come nel caso della Germania. Sul versante dei servizi per l’infanzia, va avviato un processo che porti i nidi a diventare un diritto per qualsiasi bambino che nasce in Italia. Il punto di riferimento sono Francia e Svezia dove la copertura è superiore al 50%, ovvero dove, grazie a condizioni di effettivo accesso e qualità, la maggioranza dei nuovi nati viene accolta. C’è poi lo strumento dei congedi, che devono diventare tali da essere fruibili allo stesso modo per madri e padri. Oltre ai paesi scandinavi va guardato con interesse l’impulso recente della Spagna in tale direzione.
Le dinamiche delle nascite vanno però considerate all’interno di un approccio sistemico delle condizioni e delle scelte che consentono ai cittadini di realizzare i propri progetti di vita. In questa prospettiva si collocano tre obiettivi chiave che il sistema paese deve porsi e impegnarsi a realizzare entro il decennio: il dimezzamento del divario tra numero medio di figli desiderato (attorno a due) e quello realizzato (1,25), il dimezzamento del tasso di NEET (i giovani che non studiano e non lavorano), il dimezzamento del divario tra occupazione femminile e maschile (attualmente il più alto in Europa).
Per non ricominciare ogni volta da capo dovremmo allora “ricominciare da tre”, come suggerisce il noto film di Massimo Troisi, ovvero avviare un processo che anno dopo anno migliora la posizione del nostro paese in modo integrato su questi tre cruciali obiettivi condivisi.