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Giovani, politica e sindacati

Arriviamo da una campagna elettorale che ha poco appassionato i giovani e che lascia risultati considerati dai giovani stessi insoddisfacenti. I dati delle rilevazioni post voto mostrano come la grande maggioranza abbia deciso negli ultimi giorni e prevalga la convinzione che non si riuscirà ad avere un governo solido. Questo è allora forse il momento migliore per guardare oltre la necessità della ricerca di immediato consenso per confrontarsi in concreto su come ridefinire le basi di un virtuoso rapporto tra piano di sviluppo del Paese e ruolo delle nuove generazioni.

Il voto inquieto dei giovani

Alla fine i giovani sono andati a votare e hanno dimostrato di essere molto poco riconoscenti verso chi ha governato il Paese negli ultimi anni. Le nuove generazioni non hanno disertato in massa le urne, come molti temevano, hanno semmai deciso di dare un segno chiaro della loro insoddisfazione verso un’Italia che continua a lasciarli con condizioni e opportunità nettamente inferiori ai coetanei europei. Del resto molti si sono chiesti in questi anni perché i giovani non si ribellano. In realtà lo fanno in silenzio, andandosene all’estero e attraverso il voto, che non a caso penalizza soprattutto i partiti tradizionali e chi non si rivela all’altezza delle aspettative suscitate. Ma il registro principale non è quello della rassegnazione.

Generazione Zeta: un’incognita da decifrare

Valori, atteggiamenti, visione del mondo e del proprio ruolo in esso, emergono dopo gli anni della prima adolescenza, quando si lancia lo sguardo oltre le mura protettive della casa dei genitori. Si inizia a prendere in mano la propria vita, a pensare a scelte che mettono le basi del proprio futuro, a vivere e interpretare (senza mediazione delle agenzie di socializzazione primaria: famiglia e scuola) gli eventi del momento storico in cui si vive. E’ la fase che oggi sta attraversando, appunto, la Zeta, generazione che arriva dopo i Millennials.

Recuperare la credibilità perduta

È passato esattamente mezzo secolo dal 1968. La società italiana è molto diversa da allora. I giovani stessi sono molto diversi. Le nuove generazioni sembrano oggi una forza debole, poco attiva e poco coinvolta nei processi di cambiamento del Paese. Manca la spinta catalizzatrice dei grandi ideali. Manca la visione positiva del futuro. Manca il peso demografico crescente dei giovani. Rimane però vero che in ogni tempo le nuove generazioni sono l’energia principale per dare direzione positiva al cambiamento. Questo è ancora più vero in un paese che invecchia e in un secolo che propone grandi mutamenti e continue sfide.

Da un lato l’Italia ha quindi bisogno di giovani più di quanto non riesca a dimostrare. D’altro lato i giovani stessi hanno bisogno di mettersi alla prova e di produrre un proprio impatto nella realtà che li circonda più di quanto riescano nei fatti ad esprimere. Domanda e offerta di partecipazione sociale e politica fanno però fatica a stimolarsi al rialzo in Italia. Se i giovani fossero disinteressati e individualisti – come vengono spesso ritratti da indagini occasionali con chiavi di lettura superficiali – ci sarebbe ben poco da fare. Esiste, invece, un’ampia attenzione verso temi collettivi (come la giustizia sociale, le diseguaglianze, l’ambiente, il riconoscimento del merito), ma anche una disponibilità ad operare per il bene comune non inferiore né alle generazioni precedenti e né ai coetanei degli altri paesi.
Più in generale, i giovani mostrano una grande voglia di contare sulle decisioni pubbliche che hanno ricadute sul loro futuro. Includerli però non è scontato. Nelle nuove generazioni partecipazione e appartenenza sono infatti più fluide, fanno parte di un processo riflessivo all’interno del quale tutto viene rimesso continuamente in discussione. Anche il loro voto è, di conseguenza, molto più fluido e quindi ancor più prezioso quando il risultato finale è incerto. Rischia però di evaporare se manca un’offerta politica credibile, convincente e coinvolgente. La debolezza di tali tre “c” – come mostrano i dati del “Rapporto giovani 2018” dell’Istituto Toniolo (coordinato da chi scrive) – porta come esito: bassa adesione ai partiti tradizionali, tentazione a indirizzare il consenso verso chi dà voce a protesta e frustrazione, ma soprattutto crescente disaffezione generalizzata. E’ il ritratto di una generazione delusa e confusa rispetto all’offerta attuale ma soprattutto rispetto al proprio ruolo e alla propria condizione. Una generazione alla quale non manca l’aiuto privato dei genitori ma a livello pubblico orfana di alleati solidi e affidabili con i quali immaginare un destino migliore per il Paese.