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Il doppio esodo che minaccia il futuro dell’Italia

Il futuro dell’Italia dipende dalla capacità di rigenerare la popolazione nelle età più produttive e fertili. Se non riuscirà a farlo, il Paese dovrà affrontare costi sempre più gravosi legati all’invecchiamento e al debito pubblico su basi demografiche sempre più fragili. Nel testo della recente Audizione dell’INAPP alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, si afferma che “In soli dieci anni usciranno dal lavoro circa 6,1 milioni di italiani: un esodo generazionale che rischia di lasciare il Paese senza ricambio e di mettere in crisi la tenuta del welfare”. Il Presidente dell’INAPP, Natale Forlani, ha inoltre ribadito che “la dinamica è già visibile oggi: indice di dipendenza demografica in crescita, carenza di competenze e difficoltà nel reperimento di personale, spesa pensionistica in aumento fino al 17% del PIL entro il 2040, e oltre 4 milioni di over 65 non autosufficienti che richiedono assistenza continuativa”.

Il secolo della forza lavoro in declino

La popolazione mondiale non è mai cresciuta in modo così differenziato nelle varie fasce d’età e nelle diverse aree del mondo. Questa crescita disomogenea è dovuta ai diversi tempi in cui si sta realizzando la transizione demografica e ai differenti livelli degli indicatori demografici raggiunti nella fase avanzata di tale processo.

Uno degli esiti principali della transizione è la riduzione a livelli molto bassi dei rischi di morte dalla nascita fino alla fine dell’età lavorativa (e oltre). Il secondo grande cambiamento è la diminuzione della fecondità. Nel 1950 il tasso di fecondità mondiale era di circa 5 figli per donna, mentre è oggi pari a 2,3. Se il tasso di fecondità si stabilizza attorno ai 2 figli, la popolazione in età lavorativa trova una sua configurazione solida e stabile: la base demografica perde la configurazione a piramide e assume una forma rettangolare, con coorti che entrano in età lavorativa equivalenti a quelle che escono.

La qualità del lavoro over 50 che rende sostenibile il futuro

La sfida principale che l’Italia sta oggi affrontando è l’invecchiamento della forza lavoro. Non ci sono mai stati nelle aziende e nelle organizzazioni italiane così tanti over 50. Alla base di questo cambiamento, particolarmente accentuato nel nostro paese, ci sono due fattori concomitanti. Il primo, in comune con il resto delle economie mature avanzate, è il fatto positivo del vivere sempre più a lungo. Se è vero che un sessantenne oggi non può avere le stesse condizioni fisiche di quando aveva quarant’anni, è allo stesso tempo vero che ha maggiori possibilità di essere in salute e attivo rispetto a un sessantenne di vent’anni fa. Il secondo fattore è la riduzione quantitativa delle nuove generazioni. La transizione demografica non porta solo ad un aumento della longevità ma anche ad una riduzione della natalità. Il numero medio di figli per donna va in tutto il mondo ad abbassarsi. Nel 1950 il tasso di fecondità globale era attorno a 5 figli, oggi è meno della metà, entro il secolo scenderà a 2. Tutta l’Europa è già oggi sotto tale livello e l’Italia è il paese che da più lungo tempo si trova sotto 1,5. Gli attuali under 40 sono nati nel periodo in cui l’Italia è entrata nella fase di ricambio generazionale gravemente insufficiente, pertanto più degli altri paesi vede indebolirsi la componente più giovane della forza lavoro.

Longevità sostenibile e ricambio per le nuove generazioni

Con la generazione dei Baby boomers le economie mature avanzate possono cogliere la sfida dell’entrata nella società della longevità. Non solo perché sono demograficamente tanti, ma soprattutto perché è con loro che si pone la sfida di come vivere a lungo e bene, ovvero come trasformare la quantità di anni in più in qualità di vita da vivere.

Gli attuali 75enni sono in condizioni di benessere e salute analoghe a quelle dei loro nonni a 60 anni. E’ solo dopo i 75 che oggi ci si considera anziani, non prima; con in più nuove tecnologie abilitanti in continua evoluzione. E tale soglia va, di generazione in generazione, a spostarsi sempre più in avanti.

La qualità del lavoro salva le società del rinnovo generazionale debole

Il recente Rapporto annuale dell’Inps somiglia molto ad una rassicurante comunicazione dal ponte di comando ai passeggeri quando il rischio di trovare sulla rotta un iceberg è elevato ma per il momento tutto procede tranquillamente e non c’è nulla di preoccupante in vista. I resoconti del naufragio del Titanic dicono che l’iceberg fu avvistato quando si trovava approssimativamente a 500 metri di distanza. Venne subito ordinata una manovra di emergenza con virata a sinistra, ma, a causa della grande massa della nave, non fu sufficiente ad evitare la collisione. La demografia ha una propria inerzia analoga a quella di una grande nave. Più aspettiamo a fare le operazioni che servono, più alto è il rischio di andare incontro ad un destino nefasto. All’interno del territorio italiano ci sono già contesti in tale situazione. Alcune aree interne del nostro Paese si trovano con una combinazione di bassa natalità, fuoriuscita netta di giovani, struttura demografica compromessa, da non aver più margine per cambiare la rotta che porta verso l’insostenibilità sociale ed economica.