Il voto inquieto dei giovani

Alla fine i giovani sono andati a votare e hanno dimostrato di essere molto poco riconoscenti verso chi ha governato il Paese negli ultimi anni. Le nuove generazioni non hanno disertato in massa le urne, come molti temevano, hanno semmai deciso di dare un segno chiaro della loro insoddisfazione verso un’Italia che continua a lasciarli con condizioni e opportunità nettamente inferiori ai coetanei europei. Del resto molti si sono chiesti in questi anni perché i giovani non si ribellano. In realtà lo fanno in silenzio, andandosene all’estero e attraverso il voto, che non a caso penalizza soprattutto i partiti tradizionali e chi non si rivela all’altezza delle aspettative suscitate. Ma il registro principale non è quello della rassegnazione.

Generazione Zeta: un’incognita da decifrare

Valori, atteggiamenti, visione del mondo e del proprio ruolo in esso, emergono dopo gli anni della prima adolescenza, quando si lancia lo sguardo oltre le mura protettive della casa dei genitori. Si inizia a prendere in mano la propria vita, a pensare a scelte che mettono le basi del proprio futuro, a vivere e interpretare (senza mediazione delle agenzie di socializzazione primaria: famiglia e scuola) gli eventi del momento storico in cui si vive. E’ la fase che oggi sta attraversando, appunto, la Zeta, generazione che arriva dopo i Millennials.

Nuove competenze per più sviluppo

Le elezioni politiche dovrebbero costituire un’occasione preziosa di riflessione e confronto sul progetto di Paese che vogliamo realizzare, non esaurirsi in un elenco di promesse finalizzate a massimizzare il consenso immediato. Il dibattito aperto dall’articolo di Calenda e Bentivogli su questo giornale ha il pregio di alzare lo sguardo comune oltre l’interesse di chi vincerà le elezioni del 4 marzo, per definire una strategia in grado di rendere vincente la risposta del nostro Paese alle grandi sfide di questo secolo. Perché tale strategia sia vincente è necessario prima di tutto che sia avvincente (coinvolgente e appassionante) nei confronti delle nuove generazioni. Non c’è alcuna possibilità di costruire un futuro migliore senza mettere in relazione virtuosa le opportunità del mondo che cambia, le specificità (culturali e strutturali) del territorio, le potenzialità e le sensibilità delle nuove generazioni. Ignorare anche uno solo di questi tre elementi porta ad un fallimento certo nel medio-lungo periodo.

Son (quasi) tutte vuote le culle d’Italia

Cosa c’è di nuovo nei dati sulla demografia italiana aggiornati al 2017 e di recente pubblicati dall’Istat? Nel 2013 siamo scesi a 513 mila nascite, che allora era il livello più basso della nostra storia nazionale. Ogni anno successivo siamo scivolati però ancora più in basso e questo vale anche per il 2017, che con 464 mila nati ci porta ancora una volta a dire: “mai così pochi dal 1861 a oggi”. Il prossimo anno riusciremo a fare ancora peggio o vedremo finalmente i segnali della ripresa post crisi stimolati e sorretti da adeguate politiche?