I giovani dalla panchina all’attacco

Per tornare a crescere non basta uscire dalla recessione, è necessario avviare un modello di sviluppo in grado di trasformare le nuove generazioni in energia creativa e produttori di benessere del paese. La fine della crisi non è una soluzione per almeno due motivi. In primo luogo, già prima di entrare nella congiuntura negativa il tasso di Neet (gli under 30 disoccupati e inattivi) era tra i più alti in Europa.

In secondo luogo, se non si agisce con misure adeguate, il ritorno ai livelli pre-crisi sarà molto lento con l’esito di lasciare segni permanenti su un’intera generazione che rischia di ritrovarsi adulta senza aver messo le basi per solidi progetti di vita. Uno scenario che avrebbe implicazioni devastanti per la sostenibilità sociale del paese oltre che per la sua crescita economica e la sua competitività sullo scenario mondiale.

Spegnere la povertà educativa per illuminare il futuro

Difficile pensare ad un futuro migliore se si lascia che ampia parte delle nuove generazioni cresca in condizioni di deprivazione e di frustrazione. Un rischio particolarmente elevato in Italia come mostra l’Atlante dell’infanzia presentato la scorsa settimana da Save the Children.

Il valore sociale della sharing economy

Qualche mese fa scrivevamo su queste pagine che la sharing economy non è solo una App. E’ molto di più, come ha confermato la terza edizione di “Sharitaly” che si è tenuta la settimana scorsa a Milano e che aveva proprio come sottotitolo “Non solo App. L’economia collaborativa nelle aziende, nelle pubbliche amministrazioni e nel terzo settore”. Scopo di tale manifestazione – promossa da Collaboriamo e da Trailab con il patrocinio del Comune di Milano –  è stato quello sia di arricchire il dibattito teorico sulla sharing economy, sia di favorire la crescita concreta dell’economia collaborativa a Milano e in Italia.

Il successo di Expo e i limiti degli economisti

Il successo di Expo possiamo paragonarlo alla conquista italiana del K2 nel 1954. Anche quella fu un’impresa attorno alla quale si sollevarono perplessità e polemiche. L’Italia viveva un difficile contesto economico con ampie fasce della popolazione in condizione di povertà e flussi crescenti di emigrazione verso l’estero. Molti si chiesero se davvero valeva la pena investire risorse ed energie in una operazione simile. L’organizzazione e la realizzazione della spedizione furono poi caratterizzate da personalismi, conflitti, scelte discutibili, persino verità nascoste. Eppure rappresentò una grande iniezione di fiducia per un paese che voleva dimostrare prima di tutto a se stesso, dopo sconfitte ed umiliazioni, di essere in grado di compiere grandi imprese. Fu anche un’operazione di immagine verso il resto del mondo, volta ad indicare che l’Italia quando si pone degli obiettivi ambiziosi ha tutti i numeri per realizzarli.

Come favorire la transizione scuola-lavoro

Capita spesso di leggere sui giornali o sentire nei dibattiti televisivi che il lavoro se uno lo cerca bene e si adatta lo trova. Se quindi molti giovani sono disoccupati è soprattutto colpa loro che non si rimboccano le maniche quanto serve. Come spesso accade la realtà è un po’ più complessa rispetto agli stereotipi di cui è piena l’opinione pubblica. Sono vari i motivi della presenza di opportunità di lavoro che faticano a trovare manodopera adeguata in un contesto di alta disoccupazione giovanile. Ne elenchiamo quattro, ben intrecciati tra di loro. Il primo è legato al fatto che molte aziende non utilizzano modalità e contenuti adeguati nel pubblicizzare l’offerta rispetto al target specifico di interesse. Il secondo è da ricondurre alla carenza di solidi canali istituzionali di incontro tra domanda e offerta, tanto che la larga maggioranza delle persone continua a trovare lavoro attraverso la rete parentale e amicale. Il terzo fattore è di tipo culturale.