Topic: giovani

La maturazione politica di una generazione

E’ arrivata la generazione che salverà il mondo e nel caso non riesca a farlo ha ben chiaro a chi dare la colpa. Era annunciata da vari anni da segnali crescenti e sempre più forti. Ma l’evento Youth4Cimate che si è tenuto a fine settembre a Milano l’ha di fatto chiarito in modo definitivo. “We are unstoppable” ha affermato in modo deciso Greta Thumberg, che nel contrasto tra la sua fisicità e i toni dei suoi discorsi rappresenta perfettamente la Generazione Zeta, che dalla sua parte non ha la forza ma è fortemente convinta di aver ragione. Viene accolta dalle istituzioni quasi come fosse il capo di stato di una nazione di giovani che non ha confini ma che non vuole essere solo virtuale: sa scendere in strada e prendersi le piazze per dare concretezza al cambiamento. Da un lato le istituzioni del “mondo del bla bla bla” e dall’altro la “nazione del futuro adesso”. Mario Draghi dopo averla incontrata al Pre-Cop26 di Milano ha affermato ai giornalisti che “con Greta e andata benissimo”. E’ curioso vedere i grandi della terra, dopo essere stati ammoniti in modo sferzante, affrettarsi a dire che condividono l’accusa che ad essi viene rivolta. Di fondo c’è una sincera condivisione del fatto che, come afferma il premier italiano, si tratta della “generazione più minacciata dai cambiamenti climatici” e quindi ha ragione “a chiedere una responsabilizzazione, a chiedere un cambiamento”. Pochi giorni dopo papa Francesco, nel suo saluto ai giovani economisti riuniti a Perugia ha affermato: “Voi siete forse l’ultima generazione che ci può salvare, non esagero”

Gli Zeta (gli “unstoppables”), a differenza degli Xers e dei Millennials, stanno diventando una generazione “politica”. Come mette in luce un’ ampia letteratura sociologica che parte da Ortega y Gasset e Mannheim, ogni nuova generazione è chiamata a reinventare il mondo a partire dal sistema di vincoli e opportunità in cui viene posta nel contesto storico in cui vive. Molte subiscono i mutamenti del proprio tempo altre lasciano la propria impronta. La differenza la fa il giungere, come scrive Fogt, “in modo simile e consapevole a prendere posizione nei confronti delle idee e dei valori dell’ordinamento politico nel quale sono cresciuti”.

E’ da tempo che non si osservata una generazione che in modo così chiaro manifesta l’urgenza di agire, cercando nel contempo di maturare una propria visione di come il mondo va cambiato e con quali strumenti produrre il cambiamento. Prima degli Zeta lo sono stati i Boomers, una generazione che ha avuto successo nel farsi classe dirigente, molto meno nel migliorare le condizioni di chi veniva dopo.

La questione che i giovani oggi pongono al centro è ineludibile. E’ sentita dai coetanei di Greta come propria pur trovando riconoscimento trasversale. Va anche oltre il tema ambientale in senso stretto. In primo luogo perché aiuta ad adottare un approccio che consente di far uscire il futuro dalla sfera dell’inquietudine generica per collocarlo entro un orizzonte di scenari possibili dipendenti dai comportamenti di oggi. O, ancor più, a porre il domani desiderato come guida delle decisioni da prendere oggi. La spada di Damocle del futuro incerto e minaccioso che pende sulla testa dei giovani viene metaforicamente afferrata dalla generazione politica e brandita per reclamare diritti, spazi e opportunità per contare ora.

In secondo luogo perché lo stesso impegno per il futuro del pianeta consente di sperimentare modalità di partecipazione e di protagonismo non solo congeniali con le proprie competenze e predisposizioni ma anche pragmaticamente efficaci rispetto agli obiettivi e alla necessità di guadagnare visibilità e attenzione da un pubblico più vasto.

A differenza dei Boomers il punto di partenza non è l’adesione ad un’ideologia, ma l’esperienza concreta su un tema specifico di interesse e valore comune che consente di sentirsi parte di un cambiamento possibile grazie a un proprio contributo riconoscibile. Questa esperienza incentiva poi a informarsi meglio e a impegnarsi ancora di più, sviluppando progressivamente una visione del proprio ruolo come generazione “politica” che ingloba coerentemente il tema dell’ambiente all’interno di una riflessione più ampia sulla costruzione di un modello di sviluppo inclusivo e sostenibile.

Nessuno fermi la generazione Greta, ma teniamo ben presente che rimane responsabilità di tutti la direzione da dare al futuro comune.

La transizione verde, le nuove generazioni e 4 C da considerare

Il recente Rapporto Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo dell’ONU per la valutazione dei cambiamenti climatici, mette chiaramente in luce tre aspetti fortemente connessi tra di loro: la gravità della situazione, la responsabilità dell’attività umana, i crescenti costi del non agire.

Il post crisi deve cominciare dalle generazioni dei giovani

La transizione scuola-lavoro somiglia sempre più in Italia ad un labirinto. In un mondo sempre più complesso e con un mercato sempre più dinamico, senza lo sviluppo di adeguati sistemi esperti di orientamento e accompagnamento i giovani rischiano di trovarsi abbandonati a se stessi e all’aiuto delle famiglie, con alto rischio di perdersi o di intrappolamento in percorsi di basso profilo professionale.

La conseguenza non è solo un aumento delle diseguaglianze generazionali e sociali, ma anche una grande dissipazione delle energie e delle intelligenze delle nuove generazioni a cui corrisponde una allocazione non ottimale delle risorse attive del paese nel mercato del lavoro. I giovani con titolo di studio più basso più spesso che negli altri paesi scivolano nella condizione di Neet (gli under 35 che non studiano e non lavorano), mentre quelli con più alta formazione e competenze entrano più spesso tardi e male nel mondo del lavoro, come testimoniano i dati sull’overeducation (condizione in cui il livello di formazione posseduto è maggiore di quello richiesto). L’indicatore dei Neet misura lo spreco di un paese della propria risorsa giovani, mentre quello della overeducation misura la bassa valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni. Secondo i dati Istat nell’ultimo decennio il fenomeno della sovraistruzione è stato maggiore di quello della sottoistruzione e questa vale soprattutto per gli under 35.

Come mostrano i dati dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, in larga parte dei giovani italiani c’è la disponibilità ad adattarsi a quello che il mercato offre, ma più che negli altri paesi c’è anche il timore che l’eccessivo adattamento al ribasso possa diventare una condizione permanente senza uscita e, quindi anche, una rinuncia a realizzare in pieno i propri progetti di vita.

Lo stesso Piano Garanzia giovani, avviato in Italia nel 2014, non è riuscito a riportare gli indicatori della transizione scuola-lavoro a convergere con la media europea. Rispetto agli altri paesi europei che hanno attivato tale programma, molto maggiore è stato nel nostro paese il ricorso ai tirocini. Il loro largo utilizzo lo si deve, soprattutto, ai limiti della capacità di incontro tra domanda e offerta dei centri per l’impiego italiani, da un lato, e al basso sviluppo di più solidi strumenti di ingresso nel mondo del lavoro, come l’apprendistato, dall’altro.

Ma va ripensata anche la funzione stessa dei tirocini. Non possono essere un’alternativa al non far nulla. Se la transizione scuola-lavoro rimane un labirinto e il tirocinio è un tratto al suo interno in cui il giovane si sposta dal punto A al punto B senza che tale esperienza abbia effettivamente migliorato la propria posizione nel mondo del lavoro, non solo non serve a nulla ma alla fine ci si sente ancor più soli, con più frustrazione e scoraggiamento.

Se vogliamo davvero mettere le basi di un new normal dopo l’impatto della pandemia dobbiamo, allora, assumere il punto di osservazione delle nuove generazioni nel leggere la realtà che cambia e ciò che funziona nel migliorarla creando nuove opportunità. Con la consapevolezza che se l’Italia non riparte dai giovani non va da nessuna parte.

L’Italia fragile senza giovani: ora il declino accelera al Sud

L’Italia è un mondo nel mondo. E’ un paese molto vario, nel quale si possono trovare, in vari ambiti, eccellenze comparabili alle aree più avanzate del pianeta, ma anche realtà in situazione di accentuata fragilità. Oltre ad essere molto articolato, come mostrano i dati degli indicatori sulla qualità proposti in queste pagine, il quadro interno è anche non scontato. Da un alto, i contesti usualmente considerati più positivi e dinamici possono mostrare limiti rilevanti in alcune dimensioni. D’altro lato, aree considerate generalmente svantaggiate, non necessariamente si trovano al ribasso su tutti gli indicatori.

Una rivoluzione che mette al centro le nuove generazioni

“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso” dice un proverbio cinese attribuito a Confucio. Lo stesso vale per l’Assegno unico e universale per i figli (AUUF). Sarebbe stato utile alle famiglie italiane per rispondere alle difficoltà economiche e all’insicurezza verso il futuro durante la Grande recessione del 2008. O quantomeno in tempo per affrontare l’impatto della crisi sanitaria. Una proposta di istituzione di tale misura è rimasta, invece, per vari anni ferma in Parlamento, per poi trovare nuovo impulso nel contesto del Family Act. Dopo un percorso di rallentamenti e accelerazioni si è ottenuto solo ieri il via libera definitivo. Il Parlamento ha cercato di dare un segnale positivo con l’approvazione finale fatta arrivare qualche giorno prima della seconda Pasqua in confinamento e qualche giorno dopo la pubblicazione dei drammatici dati Istat sulla dinamica demografica durante la pandemia.