Tagged: figli

Battere la denatalità infelice

L’Italia sembra avere una particolare predisposizione – al di là dei nostri desideri e delle nostre potenzialità – a generare spirali negative, e quella demografica è la spirale perfetta nel vincolare verso il basso crescita e benessere futuro. Gli squilibri prodotti sono tali che per la prima volta i nuovi nati sono meno degli ottantenni. Al primo gennaio 2018 le persone di 80 anni residenti in Italia risultano essere 482 mila, mentre le nascite nel corso del 2017 sono state 458 mila. Siamo i primi in Europa a veder realizzato tale sorpasso. Tanto per avere un ordine di paragone, nel Regno Unito e in Svezia i nuovi nati vincono 2 a 1 sugli ottantenni. Questi squilibri non sono prodotti dal fatto di vivere più a lungo (abbiamo una longevità molto simile alla Svezia), ma dalla nostra maggior denatalità.

Poco lavoro e tanti sogni. Così i giovani di 18 anni si vedono a 45 anni

Mettere le nuove generazioni nelle condizioni di realizzare con successo la transizione alla vita adulta è il compito principale per un Paese che si prende cura del proprio futuro. Questo è ancor più importante oggi per la maggiore complessità e incertezza che pesa sulle scelte formative, occupazionali e familiari. In carenza di sistemi esperti efficienti di orientamento e supporto negli snodi del percorso di vita e professionale, troppi giovani rischiano di perdersi e di portare nella vita adulta delusioni e frustrazioni anziché energie e competenze per realizzarsi e far crescere il paese.

Non basta uno spot per risollevare le nascite

L’obiettivo di uno spot è richiamare attenzione e interesse per incrementare le vendite rispetto ai concorrenti. Da questo punto di vista lo spot della Chicco, che invita a far vincere il paese facendo un figlio, ha colto nel segno. Ovvero chi già progettava di allargare la famiglia tenderà ora a guardare con maggior simpatia i prodotti Chicco. Controverso è invece l’impatto sull’incremento effettivo delle nascite. Quello che mostra anche l’esperienza di altri paesi, come lo spot di qualche anno fa in Danimarca, è che il registro dell’ironia e della leggerezza funziona.

Non è però la stessa cosa se il messaggio arriva da un’azienda interessata a far profitto anziché da un’istituzione pubblica. Ci sono anche altri aspetti rilevanti. In Italia, come molte ricerche confermano, il desiderio di avere figli non manca, quello che va allineato al rialzo sono le politiche familiari, sul versante sia economico che dei servizi. In Danimarca il sistema di welfare è invece tra i più avanzati e aumentare ulteriormente la fecondità, già maggiore della media europea, richiede un a spinta sui desideri riproduttivi. Discutibile è anche l’invito a “farlo per la patria”. La scelta di un figlio tocca motivazioni più profonde che vanno ben oltre l’utilitarismo individuale o collettivo. Per aumentare le nascite l’esempio da seguire è la Germania che partiva da livelli di fecondità più bassi dei nostri e in dieci anni è salita da una media di 1,38 a 1,6 figli (mentre noi siamo scesi da 1,45 a 1,34). Un risultato non ottenuto con uno spot ma attraverso un’ampia azione di effettivo rafforzamento delle misure a sostegno dei progetti familiari.

Son (quasi) tutte vuote le culle d’Italia

Cosa c’è di nuovo nei dati sulla demografia italiana aggiornati al 2017 e di recente pubblicati dall’Istat? Nel 2013 siamo scesi a 513 mila nascite, che allora era il livello più basso della nostra storia nazionale. Ogni anno successivo siamo scivolati però ancora più in basso e questo vale anche per il 2017, che con 464 mila nati ci porta ancora una volta a dire: “mai così pochi dal 1861 a oggi”. Il prossimo anno riusciremo a fare ancora peggio o vedremo finalmente i segnali della ripresa post crisi stimolati e sorretti da adeguate politiche?

Bambini perduti. Lo sciopero dei figli contro la natalità zero

La Terza Conferenza nazionale della famiglia, tenuta a Roma il 28-29 settembre scorso, non rimarrà alla storia come punto di svolta delle politiche familiari in Italia. Si sono sentite buone intenzioni, tanta retorica, ma impegni precisi e incisivi pochi e in ordine sparso. Dopo aver toccato il record negativo di nascite nel 2013, averlo battuto nel 2014, essere scesi ulteriormente nel 2015, essere precipitati ancor più sotto nel 2016, cosa deve ancora succedere per decidere di cambiare rotta? Cosa manca per capire che senza mettere in relazione virtuosa scelte di formazione della famiglia, occupazione femminile, benessere infantile, non possiamo tornare a crescere in modo solido e creiamo, anzi, squilibri che diventano costi futuri?