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Recuperare la credibilità perduta

È passato esattamente mezzo secolo dal 1968. La società italiana è molto diversa da allora. I giovani stessi sono molto diversi. Le nuove generazioni sembrano oggi una forza debole, poco attiva e poco coinvolta nei processi di cambiamento del Paese. Manca la spinta catalizzatrice dei grandi ideali. Manca la visione positiva del futuro. Manca il peso demografico crescente dei giovani. Rimane però vero che in ogni tempo le nuove generazioni sono l’energia principale per dare direzione positiva al cambiamento. Questo è ancora più vero in un paese che invecchia e in un secolo che propone grandi mutamenti e continue sfide.

Da un lato l’Italia ha quindi bisogno di giovani più di quanto non riesca a dimostrare. D’altro lato i giovani stessi hanno bisogno di mettersi alla prova e di produrre un proprio impatto nella realtà che li circonda più di quanto riescano nei fatti ad esprimere. Domanda e offerta di partecipazione sociale e politica fanno però fatica a stimolarsi al rialzo in Italia. Se i giovani fossero disinteressati e individualisti – come vengono spesso ritratti da indagini occasionali con chiavi di lettura superficiali – ci sarebbe ben poco da fare. Esiste, invece, un’ampia attenzione verso temi collettivi (come la giustizia sociale, le diseguaglianze, l’ambiente, il riconoscimento del merito), ma anche una disponibilità ad operare per il bene comune non inferiore né alle generazioni precedenti e né ai coetanei degli altri paesi.
Più in generale, i giovani mostrano una grande voglia di contare sulle decisioni pubbliche che hanno ricadute sul loro futuro. Includerli però non è scontato. Nelle nuove generazioni partecipazione e appartenenza sono infatti più fluide, fanno parte di un processo riflessivo all’interno del quale tutto viene rimesso continuamente in discussione. Anche il loro voto è, di conseguenza, molto più fluido e quindi ancor più prezioso quando il risultato finale è incerto. Rischia però di evaporare se manca un’offerta politica credibile, convincente e coinvolgente. La debolezza di tali tre “c” – come mostrano i dati del “Rapporto giovani 2018” dell’Istituto Toniolo (coordinato da chi scrive) – porta come esito: bassa adesione ai partiti tradizionali, tentazione a indirizzare il consenso verso chi dà voce a protesta e frustrazione, ma soprattutto crescente disaffezione generalizzata. E’ il ritratto di una generazione delusa e confusa rispetto all’offerta attuale ma soprattutto rispetto al proprio ruolo e alla propria condizione. Una generazione alla quale non manca l’aiuto privato dei genitori ma a livello pubblico orfana di alleati solidi e affidabili con i quali immaginare un destino migliore per il Paese.

Giovani “senza” e la domanda di una nuova politica

Sono stati vari, come da tradizione, i temi toccati dal Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno. Ha ricordato che nel 2018 festeggeremo il settantesimo anniversario della Costituzione. Ha espresso solidarietà per chi vive in condizioni disagiate nelle aree colpite dai recenti terremoti o ha perso congiunti in attentati e altri eventi tragici. Ha fatto cenno a questioni di rilevanza internazionale (dal clima al nucleare). Ha inoltre sottolineato che nel marzo 2018 si terranno nuove elezioni, da affrontare con partecipazione, fiducia e spirito costruttivo.
I punti su cui l’azione politica dovrà aumentare la sua capacità di risposta sono tre, richiamati in passaggi cruciali del discorso del Presidente Mattarella: i giovani, il lavoro, il futuro. Si tratta di tre ingranaggi chiave per il benessere comune, che da troppo tempo girano però in senso negativo. Siamo un paese “senza giovani”, “senza lavoro”, con il rischio di trovarci con un futuro molto al di sotto delle nostre potenzialità e lontano dai nostri desideri.
Siamo, più degli altri paesi, “senza” giovani perché le nostre politiche passate – senza un aggiustamento di successo di quelle recenti – ci hanno fatto scivolare in un percorso di accentuata denatalità che nel tempo ha via via eroso la consistenza delle nuove generazioni. Ma siamo “senza” giovani anche perché meno sostenuti e incoraggiati nei loro percorsi di partecipazione attiva nel mondo del lavoro e nella realizzazione dei propri progetti di vita. Di conseguenza gli under 30 italiani, rispetto ai coetanei del resto d’Europa, di meno riescono ad avere una occupazione, a formare una famiglia e ad avere figli. Chi ha un lavoro, come documentano i dati Ocse, si trova spesso con retribuzione inadeguata e poca valorizzazione nelle aziende del proprio capitale umano. Chi forma un proprio nucleo familiare, come evidenziano i dati Istat, si trova con un rischio di povertà sensibilmente peggiorato rispetto alle classi di età più mature.
L’Italia è complessivamente un paese in grandi difficoltà, che ha risentito in modo pesante dell’impatto della crisi economica. Al centro di tali difficoltà sta il particolare indebolimento dell’asse “giovani” e “lavoro”. L’azione degli ultimi governi e l’uscita dalla fase acuta della recessione hanno sinora prodotto risultati modesti su tale asse cruciale per la crescita e il benessere del Paese. La percentuale di giovani che dopo la fine degli studi non riescono a inserirsi in modo efficace nel mercato del lavoro (i cosiddetti NEET) continua infatti a trovarsi su livelli record in Europa, con un divario cresciuto nel tempo rispetto ai paesi più avanzati. Questa condizione produce conseguenze negative persistenti, non solo in ambito professionale e previdenziale, ma anche sui tempi di transizione alla vita adulta e sul processo di formazione di una propria famiglia. Erode il “futuro” dei giovani ma anche quello del Paese che rischia di trovarsi con coorti di giovani meno consistenti e più deboli in ingresso nell’età attiva, mentre più che altrove aumenta la popolazione anziana e in condizione di fragilità.
Nessun paese può fondare la costruzione di un futuro solido sulle rinunce e lo schiacciamento in difesa delle nuove generazioni, tanto più in un mondo che cambia rapidamente e richiede capacità di innovazione da trasformare in crescita inclusiva. Ma più si lasciano i giovani ai margini, più aumentano anche frustrazione e risentimento, sfiducia nelle istituzioni e nei partiti. Il “senza” della politica sta a monte delle contraddizioni di un paese che viaggia usando le nuove generazioni come ruota di scorta anziché come motore.
A marzo 2018 si terranno le elezioni. I nati nel 1999 (ma anche tutti gli altri giovani) aspettano ancora una chiamata, non quella alle armi ma alla costruzione di un nuovo futuro per il Paese. C’è qualche partito o movimento in grado di formulare in modo credibile, convincente e coinvolgente tale chiamata? Se nessuno ci riuscirà sarà tutto il Paese a perdere.

Più squilibri demografici, più disuguaglianze sociali

Nelle società del passato la durata di vita era mediamente molto breve a causa di alti rischi di morte a tutte le età. Oggi alcune limitate aree del pianeta si trovano ancora in tale condizione, ma la grande maggioranza della popolazione mondiale vive in contesti in cui l’aspettativa di vita è in continuo miglioramento.

L’integrazione non si vede ma va avanti

Siamo continuamente bombardati da notizie e commenti sui nuovi sbarchi, sull’emergenza profughi, sul terrorismo islamico. Il rischio è però quello di perdere di vista la vera sfida che l’immigrazione pone al nostro paese, che più che sulla quantità degli arrivi – da contenere e regolare – si gioca sulle effettive possibilità di integrazione di chi è già qui.
Secondo i dati Istat, la popolazione residente in Italia ad inizio del 2017 era pari a poco più di 60,5 milioni.

Il falso problema della scuola fino a 18 anni

Ha ragione la ministra Fedeli quando dice che fermare la propria formazione a 16 anni – in un mondo sempre più complesso, in rapido cambiamento, con una vita lavorativa sempre più lunga e articolata – non è una scelta ottimale. Ma è l’obbligo imposto ai giovani a star di più sui banchi di scuola la soluzione ottimale? Una risposta la si può dare andando a vedere cosa fanno gli altri paesi europei. Si nota allora che solo un numero ristretto prevede l’obbligo scolastico fino ai 18 anni.