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Più squilibri demografici, più disuguaglianze sociali

Nelle società del passato la durata di vita era mediamente molto breve a causa di alti rischi di morte a tutte le età. Oggi alcune limitate aree del pianeta si trovano ancora in tale condizione, ma la grande maggioranza della popolazione mondiale vive in contesti in cui l’aspettativa di vita è in continuo miglioramento.

L’integrazione non si vede ma va avanti

Siamo continuamente bombardati da notizie e commenti sui nuovi sbarchi, sull’emergenza profughi, sul terrorismo islamico. Il rischio è però quello di perdere di vista la vera sfida che l’immigrazione pone al nostro paese, che più che sulla quantità degli arrivi – da contenere e regolare – si gioca sulle effettive possibilità di integrazione di chi è già qui.
Secondo i dati Istat, la popolazione residente in Italia ad inizio del 2017 era pari a poco più di 60,5 milioni.

Il falso problema della scuola fino a 18 anni

Ha ragione la ministra Fedeli quando dice che fermare la propria formazione a 16 anni – in un mondo sempre più complesso, in rapido cambiamento, con una vita lavorativa sempre più lunga e articolata – non è una scelta ottimale. Ma è l’obbligo imposto ai giovani a star di più sui banchi di scuola la soluzione ottimale? Una risposta la si può dare andando a vedere cosa fanno gli altri paesi europei. Si nota allora che solo un numero ristretto prevede l’obbligo scolastico fino ai 18 anni.

Sfruttare la ripresa per mollare le rendite e rilanciare lo sviluppo

Un Paese che guarda positivamente al proprio futuro non mette in contrapposizione nuove e vecchie generazioni, ma mette ciascuna nelle condizioni di dare il proprio migliore contributo. Solo una comunità che invecchia culturalmente, che dà per scontato il proprio declino economico e considera le scelte del presente come salvaguardia del benessere passato – anziché impegno per un domani migliore -, può disattendere esigenze e istanze dei giovani e privilegiare risorse e diritti a beneficio dei più maturi. L’Italia questo ha fatto per lungo, troppo, tempo. Il confronto con le altre economie sviluppate è impietoso sugli squilibri prodotti in termini di spesa sociale destinata, di debito pubblico ereditato, di esposizione al rischio di povertà. La carenza di scelte di impegno collettivo verso il futuro ha prodotto un progressivo scadimento della condizione dei giovani e schiacciato in difesa le loro scelte individuali: sul mercato del lavoro, sull’autonomia, sulla formazione di una propria famiglia.

L’uscita dalla crisi, come sempre accade, tanto più quanto la recessione è stata profonda, produce un rimbalzo sugli indicatori rimasti per molti anni compressi. Ma questi segnali non possono essere rassicuranti sulle possibilità di effettiva crescita nel medio e lungo periodo. Dobbiamo ripensare il concetto stesso di crescita. Più che sul confronto della quantità prodotta e consumata oggi rispetto a ieri, dovremmo infatti poterla misurare sulla qualità possibile domani rispetto a oggi. L’indicatore con maggior grado predittivo del benessere futuro è, infatti, quanto ci aspettiamo che esso possa essere migliore rispetto al presente e quanto mettiamo in condizioni di agire con successo chi è nuovo e porta qualcosa di nuovo. Se, come è accaduto sinora in Italia, i giovani diventano sempre più scoraggiati e sfiduciati, propensi a vedere la propria strada di vita varcare il confine, considerati più figli da proteggere che avanguardie di un mondo nuovo da immaginare e costruire, allora nessun valore positivo congiunturale del Pil potrà mai rassicurarci sul destino del Paese. Ma è proprio ora che il mare sta tornando in buone condizioni e il vento tira a favore, che bisogna alzare le vele e prendere lo slancio che serve. Bisogna crederci, bisogna sostenere e dar adeguati strumenti a chi ci crede, bisogna però anche avere una direzione chiara che metta a valor comune volontà e energie di tutti.

Come avverte Seneca, “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Ecco allora che ridurre esogenamente i costi di assunzione per le aziende con sgravi fiscali può essere utile per mettersi in moto, ma sapremo di essere nella direzione giusta solo quanto endogenamente le imprese troveranno conveniente puntare sul capitale umano delle nuove generazioni per migliorare produttività e competitività. Non si tratta solo di rendere più consapevoli i datori di lavoro, ma soprattutto di mettere le basi di un modello di sviluppo in cui – grazie a politiche adeguate e lungimiranti – ciò di cui il Paese ha bisogno per crescere, da un lato, e ciò che le nuove generazioni possono dare, dall’altro, sono aiutati a incontrarsi al loro più alto livello. Per il bene di tutti.

Il necessario antidoto. Politica deludente, giovani in difesa

Le elezioni mettono i cittadini davanti a due scelte. La prima è se partecipare o meno al voto. La seconda, nel caso si decida di recarsi al seggio, è la scelta della preferenza da attribuire ai vari simboli proposti sulla scheda e, quando si può e purtroppo non sempre si può, alle persone candidate in quella stessa lista. Se cresce la sfiducia verso la capacità della politica di migliorare il contesto in cui si vive e nel gestire positivamente i cambiamenti in corso, tendono ad aumentare sia l’astensione sia il voto “contro”. Ecco allora che al secondo turno delle amministrative di domenica più di un avente diritto su due ha deciso di non contribuire a determinare l’esito del ballottaggio nella propria città. Un chiaro segnale della bassa convinzione di tanti cittadini verso un’offerta politica che li scaccia da sé e dalla partecipazione.